Il dottor Cymbalus che chiude questo volume è la mia prima novella.
Fu pubblicata in La Nazione, nel settembre del 1865, ed ebbe l'immeritato onore di esser discussa, in un lungo articolo, dal corrispondente della Gazzetta di Augusta.
Quel bravo signore avea scambiato la mia fantastica narrazione per un tentativo di studio della vita tedesca contemporanea, e si era affannato a dimostrare che gli italiani ne avevano una stranissima idea.
E quando io, che lo vedevo quasi tutti i giorni nella redazione di Via Faenza, tentai di fargli capire l'equivoco in cui era caduto, non riuscii a convincerlo di non aver mai sognato di credere che qualche grande scienziato tedesco somigliasse al mio dottor Cymbalus, nè che i giovani sentimentali della Germania del 1855 avessero qualcosa di comune col mio William Usinger.
Così questo volume finisce come avrebbe dovuto cominciare, se avessi voluto accennare al lettore le varie fasi delle mie esperienze narrative, fino a Tormenta! che è tra le ultime cose da me scritte.
Caso mai, quest'avvertenza potrà, forse, avere qualche valore pei critici. E per essi, se si degnassero di notarlo, è stata conservata la data della pubblicazione di ogni novella.
Luigi Capuana.
Pietro Borgagli osservava con crescente terrore la rapida trasformazione che avveniva in sua moglie.
Ai primi sintomi della strana gelosia egli aveva sorriso.
Da qualche mese in qua però la sua Diana andava insolitamente a sedersi su una poltrona a dondolo in quello studio che non sembrava stanza di raccoglimento e di lavoro per uno scrittore, ma piccola serra di piante da salotto e di vasi da fiori; e là ella faceva sembiante di svagarsi a leggere.
A traverso le foglie del bambù che nascondeva un po' la poltrona, alzando gli occhi dalle pagine già riempite di grossa nervosa scrittura, egli sorprendeva spesso la moglie fissamente intenta a guardarlo sotto le sopracciglia corrugate per lo sforzo, pareva, di voler vederci meglio.
Gli sembrava impossibile, che ella si sentisse invadere da inesplicabile diffidenza dell'opera letteraria di lui, ora che la felicità del possesso dell'adorata creatura, contèsagli per due anni da insidiose circostanze, davano alla sua immaginazione un rigoglio che i critici notavano con unanime compiacenza all'apparizione di ogni suo nuovo lavoro.
Infatti egli sentiva dentro di sè qualcosa di più fresco, di più agile, di alato quasi; e il suo godimento artistico durante la produzione era così acuto, così intenso da fargli augurare che i lettori risentissero almeno un terzo dell'effetto di bellezza e di vita da lui provato scrivendo.
Il giorno delle sue nozze era stato pubblicato in elegantissima edizione il suo primo romanzo: Il Gran Sogno. L'editore ne aveva fatto tirare una copia speciale, su carta della Cina con larghissimi margini, dove parecchi artisti avevano profuso disegni a penna, e figure acquerellate che davano a quella copia un valore straordinario. Rilegata in pergamena, con ornamenti quattrocenteschi, racchiusa in un cofanetto di pelle dello stesso stile, era stata il più prezioso dono delle loro nozze e certamente il più gradito.
Il cofanetto portava impresso in oro il motto Sic semper! E Pietro aveva presentato, cerimoniosamente, piegando un ginocchio, il regalo del munifico editore alla giovane signora che baciò in fronte, tremando dalla commozione, il paggio editoriale, come egli si disse, già commosso quanto lei.
Diana, distratta dal viaggio di nozze, dal trambusto di visite, di ricevimenti, di spettacoli al loro ritorno in città — quando la stagione invernale travolse nel suo vortice la giovane coppia, che la bellezza e l'ingegno rendevano ricercatissima — dopo sei mesi di vita coniugale non aveva ancora trovato un po' di tempo per tagliare e leggere la copia ordinaria del romanzo che suo marito le aveva regalata con la semplice dedica: a Diana Cantelli, mio vero «Gran sogno!.
E sentì un po' di mortificazione, una sera in casa Marzani, quando la giovane signora, sua amica di collegio, le disse:
— Ah, quel Gran Sogno di tuo marito! Un capolavoro di sentimento, di passione, di finezza! L'ho riletto due volte! Gli scrittori hanno un bel dire che si tratta di semplici invenzioni della loro immaginazione con qualche leggera tinta di realtà. Io credo, invece, che sia il contrario.
E vedendo che Diana, rimasta confusa, non sapeva che cosa rispondere, riprese maliziosamente:
— Di' la verità: non te l'ha mai dato a leggere?
— Sì, e con questa dedica: a Diana Cantelli, mio vero Gran sogno. Solamente....
— Solamente....
— Ti confesso che non ho ancora avuto la curiosità di aprirlo; mi basta di leggere... — e sorrise — il suo autore, per ora.
Intanto la mattina dopo si affrettò a tagliare il volume e, chiusa nel suo studiolo, cominciò a divorare avidamente quelle pagine che, come più andava avanti, più le producevano la triste sensazione di farla inoltrare negli oscuri penetrali dell'animo di suo marito, quasi di nascosto, di sorpresa, e dov'ella non sarebbe forse mai arrivata senza le suggestive parole della sua amica: Gli scrittori hanno un bel dire..... — Sì, sì, era impossibile che quei personaggi non fossero davvero esistiti, che quelle violenti passioni non si fossero davvero scatenate nel cuore di essi fino al delirio, fino al delitto; che quelle parole, quelle frasi caratteristiche non fossero state davvero pronunziate con la desolata espressione che le pareva di sentire fin nelle righe del libro.
E come poteva mai darsi che un uomo indovinasse o inventasse quelle passioni, quei contrasti, quelle lotte senza che il suo cuore vi avesse davvero partecipato in una o in altra maniera? Se non precisamente a quel modo, se con particolari diversi, non voleva dir nulla; forse anche con maggior violenza, con circostanze tali, senza dubbio, da far esitare la penna più esperta.... da costringerla ad attenuare, a travisare un po' la realtà, a deformarla probabilmente, per non far riconoscere persone e fatti e suscitare scandali e recriminazioni.
Si maravigliava ella stessa di quell'improvvisa compenetrazione che le faceva intravedere l'intimo legame tra l'autore e l'opera sua. Non le era mai passato per la mente che ognuna delle figure, specialmente di donna — erano quelle che più la interessavano — fossero ancora qualcosa di vivo, di segreto nel cuore dell'artista, se egli sentiva la necessità di riprodurle con la magìa della sua parola, quasi per fissarle meglio, e perpetuarle per sè e per gli altri. Lo capiva ora tutt'a un tratto; e mentre fino a poche ore addietro ella si credeva in pieno possesso del cuore e dello spirito di suo marito, ora le sembrava di esserselo sentito sfuggire lentamente, di mano in mano, senza nessuna lusinga di più tornare a riconquistarlo.
Reagì contro questa impressione, pensando che ben altro era il sapersi legata a lui da attuali forti vincoli di sentimenti e di carne, che non il sopravvivere, se pur poteva chiamarsi tale, nell'immaginazione, nel ricordo. Bisognava anzi già esser pervenuto a un punto di indifferenza completa per cacciar via fuori di sè, quasi per sbarazzarsene, quei fantasmi di una realtà una volta cara, e che, per felice disposizione d'ingegno, assumevano forma d'arte, e dovevano probabilmente riuscire irriconoscibili a colui stesso che li aveva a quel modo fatti vivere.
Rilesse alcune pagine, sfogliando il volume, fermandosi a un nome di donna, seguendolo un po', abbandonandolo, riprendendolo verso la fine nella scena più violenta, e sorrise, rassicurata.
Entrò col libro in mano nello studio del marito.
— Oh! finalmente...
— Sì, finalmente — ella lo interruppe, agitando il volume con grazioso gesto di minaccia — e puoi esser contento di quel che mi hai fatto soffrire.
Egli ebbe una mossa di stupore.
— Siete dei grandi sfacciati voi scrittori — riprese Diana con accento indefinibile, di scherzo e di serietà. — Vi compiacete di raccontarci le vostre prodezze, fingendo di raccontare la storia degli altri, assegnandovi la più bella parte negli avvenimenti, cioè quella che a voi sembra la più bella, e vi figurate così di aver gabbato i lettori. Ma sai che questo tuo Gherardo del Gran sogno è uomo spregevole, con tutte le sue arie di incorreggibile sentimentale?
— Spregevole poi... — fece Borgagli, lusingato di veder presa sul serio la sua opera d'arte.
— Ah! Tu lo difendi; è naturale. Quanta parte di te c'entra, confessalo, in quell'ambiguo carattere?
— Ambiguo, no; complicato forse volevi dire. Allora facevo anche io il mio gran sogno e tu eri un po' la donna intravista, inseguita e non mai raggiunta, per dimenticare la quale Gherardo...
— E perchè voleva dimenticarla?
— Ecco — disse il marito, alzandosi da sedere e raccogliendo i fogli sparsi su la scrivania già coperti della sua grossa e nervosa scrittura. — Tu non puoi immaginare il piacere che mi produci in questo momento, ragionando dei personaggi e dei fatti del mio romanzo come di persone e di avvenimenti reali. Certamente qualcosa di mio c'è in essi e del me più schietto e più sincero. Sono passati per la mia immaginazione, si sono fusi, si sono organizzati in essa pur tentando di assumere una loro distinta personalità. Io stesso non saprei precisamente dirti come questo avvenga. L'artista, scrivendo, è in una specie di semi inconsapevolezza, sta a guardare, maravigliato — più che non farebbero gli altri — quel che avviene dentro di lui, il miracolo della creazione; e forse è il solo a goderne pienamente, perchè, soltanto lui può osservarne il processo di mano in mano che esso avviene. Quante viete cose ti dico, mentre dovrei baciare la bella mano che tiene ancora il mio libro, e la bellissima bocca che mi ha detto: Mi hai fatto soffrire!
Diana si lasciò baciare la mano e la bocca, spalancando i vividi occhi caprini in viso al marito, un po' irrigidita di fronte alla calda effusione di quel ringraziamento, di cui ella non riusciva a capire il preciso significato, se egli non si burlasse, per caso, della sua femminile ingenuità.
Parecchi volumi di novelle di suo marito ella aveva letti durante il fidanzamento, ma senza interessarsi di scoprire quel che esse potessero ricordare del passato di lui. Non aveva mai fatto nessuna distinzione tra quelle narrazioni rapide, appassionate, contenenti un fiero dramma interiore che talvolta scoppiava in tragedia; tra parecchie di esse piene di finezze, argute, quasi maligne, specialmente quando si trattava di rari caratteri di donne; e le molte novelle drammatiche o ironiche di altri autori italiani e stranieri. Le une e le altre erano servite a procurarle un po' di distrazione, con lieve godimento intellettuale.
Ora invece si era messa a rileggere non solamente le novelle e i racconti di lui già raccolti in quattro bei volumi, ma anche le altre ancora disperse tra le colonne dei giornali e le pagine delle rassegne, dove suo marito le spargeva con profusione da gran signore, e che egli ritardava a raccogliere, attendendo che le impressioni della recente lettura si fossero alquanto scancellate e fosse solleticato il gusto di tornare a leggerle.
Dapprima Borgagli si era rallegrato della conquista di una lettrice che non era, per cultura, per affettuoso interesse, lettrice ordinaria. Diceva anzi: della riconquista perchè, di giorno in giorno, notava certe sottili osservazioni intorno a parecchie novelle che prima le erano passate quasi inosservate. Pareva che ella avesse bisogno di schiarimenti, di dilucidazioni a proposito di una battuta di dialogo, di un motto passionale fatto sfuggire dalla bocca di una creatura, in un terribile momento, quando sembrava che soltanto quella parola risolvesse la inevitabile crisi di un povero cuore.
— Perchè ha risposto così?... Come hai tu saputo che ha risposto così? — domandava infine ansiosamente.
— Perchè la situazione, capisci, portava che doveva rispondere così — egli spiegava, stupito di quelle insistenti domande. — Non ho saputo, ho intuito che ha risposto... cioè che avrebbe risposto così.
— Tu hai detto una volta, parlando con Leoni, che certe frasi, certi motti non s'inventano: si prendono dal vero, in circostanze inattese, uditi direttamente o riferiti.
— Non ho rossore di confessare — rispose, sorridendo, Borgagli — che quattro o cinque delle frasi che più destano ammirazione in alcune mie novelle, io me le sono appropriate, come chi trova per via un diamante, smarrito del suo sbadato proprietario. E il paragone è soltanto giusto riguardo al diamante. Coloro che han pronunziate quelle frasi, quei motti sublimi o caratteristi, ne ignoravano il valore. Il pubblico dev'essermi grato di non averli lasciati disperdere.
E il giorno dopo, a proposito di altre novelle, di altri racconti specialmente di quelli usciti recentemente dalla penna di lui, ella riprendeva la sua indagine con maggiore insistenza; e Pietro già notava con qualche sgomento, quell'accento di profonda tristezza con cui ella interrogava, quella espressione del viso che significava la dolorosa delusione di non aver raggiunto il suo scopo.
— Ma che hai? che vuoi sapere — le diceva. — Sembra impossibile che una persona intelligentissima e colta come te, cerchi di scoprire in un'opera d'arte quel che non c'è. Il mio passato? Ma tu, adorata mia, da due anni hai scancellato tutto, tutto! Hai fatto cor novum dentro di me, un cuore nuovo, dove non può più esservi posto neppure pei ricordi, tanto tu lo riempi di te, rinnovando ogni giorno, ogni ora, ogni istante il tuo sovrano possesso. Come non lo intendi? Come non ti accorgi del male che ti fai? Giacchè tu soffri — non negarlo — tu diventi sempre eccitabile, sempre più nervosa; ed io ho paura quando ti sento tremare, fremere fra le mie braccia, come in questo momento, scossa da brividi molto diversi da quelli, dolcissimi, di una volta.
— No, no, t'inganni! — ella tentava di negare. — Forse attraverso un periodo strano, di facili eccitazioni, nel quale mi sembra di sentir sviluppato in me un senso inesplicabile di veggenza, che però è ancora in uno stato torbido, fosco.
— E rimarrà sempre tale, perchè sei tu che tenti di formartelo artificiosamente e non riesci; tenti l'impossibile. Che t'importa di sapere, con precisione, quel che c'è di me, della mia vita, del mio passato, del mio cuore, del mio spirito nell'opera mia narrativa? Qualcosa, molto o poco, dev'esserci, per forza. Ma ormai questo qualcosa, poco o molto, non ha nessuna importanza; è ridotto, per dir così, proprio a materiale — nota: a materiale — da servire alla costruzione dell'opera d'arte. L'importante è la forza creatrice che ora aiuta ad adoprarlo; e questa forza creatrice ha un personale slanciato, capelli di un biondo scuro, occhi grandi, caprini, scintillanti, labbra rosee, mani — oh, mani! — minuscole e braccia morbidissime; e dovrebbe stringermi più forte, più forte... così; e baciarmi così, così, e giurarmi di non torturarsi più, se non vuol farmi maledire quella che è stata il mio orgoglio, la mia consolazione, la mia ragione di vivere prima che entrasse in questa casa l'attuale gentile dominatrice, ed è e sarà, da ora in poi, il mio omaggio, la mia raccolta di fiori immortali da spargerle ai piedi: intendo la mia opera d'arte. Me lo giuri?.... Me lo giuri dunque?
Diana, vinta da intensa commozione, si abbandonò singhiozzante tra le braccia del marito balbettando:
— Sì! Sì!
Sdraiata indolentemente su la poltrona a dondolo, con un libro in mano, che di tratto in tratto quasi le cascava sui ginocchi aperto o tenuto socchiuso dall'indice, Diana passava molte ore nello studio del marito, intento a terminare il romanzo che doveva comparire nel primo fascicolo del prossimo anno su la maggior rassegna italiana.
Come per riposarsi, in alcuni giorni della settimana egli scriveva una novella che, secondo lui, doveva tenergli sciolta la mano con la forzata rapidità della narrazione; e anche per sodisfare a certi impegni con giornali e periodici che si contendevano i suoi lavori.
Mai Diana aveva mostrato curiosità di leggere le piccole cartelle del manoscritto via via che suo marito le andava accumulando in un angolo della scrivania.
Quella mattina egli la vide accostare con tale aria di sospetto che, quando ella tese la mano per prendere le cartelle alle quali era già sovrapposta l'ultima scritta, non ostante il sorriso, non ostante il tono appositamente umile e gentile con cui furono pronunziate le parole: — È permesso pregustare?... — non potè far a meno di fermarle il braccio e domandarle:
— Ti senti male?
— No.... Lasciami leggere.
— Leggerai dopo. Rispondi: ti senti male?
— No.... Lasciami leggere.... Voglio leggere....
E si allontanò stringendo nel pugno il manoscritto, come una preda vittoriosa.
Pietro Borgagli si sentì contrarre il cuore da uno spasimo atroce. E ritto in piedi, col dorso delle mani fortemente appoggiato su l'orlo della scrivania quasi avesse bisogno di premere su qualcosa di resistente per convincersi di non esser vittima di un'allucinazione, seguiva con gli occhi i movimenti di Diana, che leggeva le cartelle un po' sgualcite dalla stretta del pugno con cui le aveva afferrate, e indugiava, andava lestamente via con gli occhi, tornava addietro, fino a che, arrivata all'ultima, non scattò, tendendo il manoscritto, balbettando convulsamente:
— Ora non dirai che non è vero!