Michael Ende
Racconti
A otto anni, Cyril conosceva tutti i Grand Hôtel del continente europeo e la maggior parte di quelli del Vicino Oriente, ma per il resto non sapeva praticamente nulla del mondo. Il portiere dai galloni dorati, che ovunque aveva imponenti basette e lo stesso berretto a visiera, rappresentava per così dire il guardiano del confine e il custode della soglia della sua infanzia.
Il padre di Cyril, Lord Basil Abercomby, era un diplomatico al servizio di Sua Maestà, la regina Vittoria. L'ambito nel quale egli operava era difficilmente definibile, riguardando quelli che venivano denominati «compiti speciali». Questi comportavano a ogni modo il fatto che il Lord si spostasse costantemente da una metropoli all'altra, senza mai trattenersi più di uno o due mesi nel medesimo luogo. Per favorire la necessaria mobilità, si contentava di un personale d'accompagnamento il più possibile ridotto. Questo comprendeva anzitutto il suo cameriere personale, Henry, quindi Miss Twiggle, la governante, una signorina un po' stagionata, dai denti di cavallo, che aveva il compito di occuparsi del benessere di Cyril e di insegnargli le buone maniere. Infine vi era Mister Ashley, un giovane magro e piuttosto scialbo se si prescindeva dalla sua tendenza a passare le ore d'ozio a bere in silenziosa solitudine. Era il segretario personale di Lord Abercomby e assolveva nel contempo la funzione di tutore di Cyril, cioè di suo insegnante privato. Le cure paterne di Basil si erano esaurite con l'assunzione di queste ultime due figure. Una volta alla settimana cenava da solo con suo figlio, ma poiché entrambi ponevano particolare cura a non incoraggiare l'avvicinamento dell'altro, in quelle occasioni la conversazione risultava piuttosto faticosa. Alla fine entrambi erano egualmente sollevati di avere, ancora una volta, portato a termine l'incontro.
Cyril era un bambino che non risvegliava simpatia nemmeno esteriormente. Aveva una figura asciutta (un termine riservato in generale solo alle persone adulte), di costituzione ossuta, quasi priva di carne, capelli stoppacciosi e smorti, occhi leggermente sporgenti e acquosi, labbra spesse che esprimevano insoddisfazione, un mento insolitamente pronunciato. La cosa più strana, per un giovane della sua età, era però l'assoluta mancanza di mobilità del volto. Lo portava come si indossa una maschera. La maggior parte dei dipendenti degli alberghi lo riteneva una persona arrogante. Alcuni di essi, in particolare le cameriere dei paesi mediterranei, ne temevano lo sguardo ed evitavano di incontrarlo da sole.
Esageravano, naturalmente, ma nel carattere di Cyril vi era nondimeno qualcosa che tutti coloro che si trovavano ad avere a che fare con lui non potevano esimersi dal notare e che spaventava tutti allo stesso modo: la sua forza di volontà, tanto spiccata da essere eccessiva. Fortunatamente questa si faceva sentire solo di tanto in tanto, poiché di solito egli si comportava invece in maniera piuttosto indolente, non mostrava alcun interesse particolare e sembrava essere privo di temperamento. Poteva starsene per esempio seduto per giorni interi nella hall dell'albergo, a osservare la gente in arrivo e in partenza, oppure a leggere quanto gli capitava sotto mano, dal quotidiano finanziario ai consigli per i bagni curativi, dimenticando immediatamente quanto aveva appena letto. Un tale atteggiamento di indifferenza mutava però repentinamente, non appena Cyril prendeva una determinata decisione. Nulla al mondo avrebbe potuto, in quel caso, distoglierlo da essa. La fredda cortesia con cui esprimeva le proprie intenzioni non consentiva dinieghi. Se qualcuno tentava di resistere al suo comando, egli si limitava a sollevare un sopracciglio, meravigliato, e non solo Miss Twiggle e Mister Ashley, ma perfino Henry, il vecchio, dignitoso cameriere, si piegavano immediatamente al suo volere. Nessuna delle persone coinvolte aveva chiaro in che modo il bambino ottenesse ciò, ed egli stesso lo riteneva un fatto talmente ovvio da non soffermarvi il pensiero.
Un giorno, mentre si tratteneva nelle cucine dell'albergo, come faceva a volte, con muto fastidio dei cuochi, vide un'aragosta viva, e dispose subito che venisse portata nella sua vasca da bagno. Così avvenne, anche se il crostaceo era stato ordinato come cena da uno degli ospiti dell'albergo. Per mezz'ora, Cyril rimase a osservare lo strano animale, ma poiché questi non faceva altro che muovere su e giù le lunghe antenne, finì col disinteressarsene, andandosene e non pensandoci più. Fu solo a sera, quando volle fare il bagno, che si ricordò di lui. Allora lo prese, portandolo nel corridoio e lasciandolo libero. L'animale si trascinò sotto un armadio, dal quale non riemerse più. Solo dopo vari giorni il personale dell'albergo fu messo in allarme da un crescente tanfo di marcio, e l'individuazione della fonte di quello spiacevole odore richiese sforzi non indifferenti. Un'altra volta, Cyril obbligò il capo della reception di un albergo danese a costruire insieme con lui un pupazzo di neve, che dovette poi venire collocato nella hall, a liquefarsi lentamente. Ad Atene, dopo un concerto pianistico, fece condurre nella propria camera sia il pianista sia il suo pianoforte a coda, e ingiunse al malcapitato artista di insegnargli all'istante come si suonasse lo strumento. Quando fu costretto ad accettare il fatto che ciò avrebbe evidentemente richiesto un esercizio prolungato, ebbe un attacco d'ira, di cui fece le spese soprattutto il pianoforte. In seguito a ciò Cyril si ammalò seriamente e dovette restare a letto diversi giorni, in preda alla febbre. Quando Lord Basil veniva informato di tali eccentriche gesta del figlio, pareva più divertito che sdegnato.
«È proprio un Abercomby», usava commentare con indifferenza. Probabilmente intendeva dire che nella lunga serie dei loro antenati vi era stata ogni sorta di follia e che pertanto i capricci di Cyril non andavano misurati in base al metro adottato per i comuni mortali.
Pur essendo nato in India, Cyril non aveva alcun ricordo di quel paese, rammentando a malapena il nome della sua città d'origine. A quel tempo suo padre lavorava al consolato. Anche riguardo a sua madre, Cyril sapeva solamente ciò che Lord Basil gli aveva riferito un'unica volta, con parole più che stringate, e cioè che appena qualche mese dopo la sua nascita ella era fuggita con un violinista di caffè. Era del tutto evidente che suo padre non gradiva dilungarsi su questo tema, e perciò il figlio non gli chiese mai più nulla. In seguito venne tuttavia a sapere da Mister Ashley che non si era trattato affatto di un violinista di caffè, ma piuttosto di un virtuoso del violino, Camillo Berenici, ai suoi tempi famoso in tutto il mondo e idolo delle dame europee. Quella romantica relazione si sarebbe tuttavia interrotta appena un anno dopo, cosa che pareva comune in casi del genere. Mister Ashley sembrava narrare di tali fatti non senza un certo divertimento, ma forse era soltanto un po' ubriaco e di conseguenza loquace. Lo scandalo in società, aveva proseguito, era stato naturalmente ragguardevole. In seguito Lady Olivia si sarebbe completamente ritirata dal mondo, andando a vivere in maniera più o meno solitaria nei propri possedimenti del South Essex. Lord Basil non aveva peraltro mai chiesto il divorzio, ma aveva dato alle fiamme tutti i ritratti e i dagherrotipi della moglie e non ne aveva mai più menzionato il nome – a eccezione di quell'unica volta. Cyril quindi non sapeva nemmeno che aspetto avesse sua madre.
Non era ben chiaro perché Abercomby portasse in giro con sé per il mondo il figlio, invece di affidarlo a uno degli istituti d'istruzione confacenti alla sua classe sociale, e il fatto era anzi motivo di innumerevoli speculazioni. Certo non doveva trattarsi di affetto paterno, poiché a tutti era noto che egli non si interessava, se si eccettuavano i suoi compiti di diplomatico, che della sua collezione d'armi e oggetti d'interesse militare, che veniva arricchendo di continuo con pezzi che acquistava in tutto il mondo e che inviava a Claystone Manor, residenza originaria della sua famiglia, con gran disperazione di Jonathan, il vecchio maggiordomo, che non sapeva più dove sistemarli. In effetti il motivo si fondava semplicemente sul timore che Lady Olivia potesse tentare in qualche modo di prendere segretamente contatto con il figlio, in caso egli non fosse riuscito a mantenere la situazione sotto controllo. Abercomby voleva escludere in maniera assoluta tale eventualità e ciò non per il ragazzo, quanto piuttosto per punire la moglie dell'onta derivatagli per causa sua. Per quello stesso motivo aveva del resto evitato in tutti quegli anni di fare ritorno in Inghilterra, a eccezione di qualche viaggio di servizio, della durata di pochi giorni, nel corso dei quali lasciava il figlio all'estero, affidato alle cure del personale.
Fu in una di quelle occasioni che il piccolo sorprese i suoi due educatori in una situazione quanto mai imbarazzante. Era notte fonda quando, risvegliatosi per un qualche motivo, chiamò la governante, che dormiva nella stanza accanto alla sua. Non ricevendo alcuna risposta, si era alzato per affacciarsi da lei. Il suo letto era intatto. Si mise a cercarla. Passando davanti alla camera del suo tutore, udì strani suoni soffocati. Aprì la porta con circospezione. Quello che vide suscitò il suo interesse. Entrò, si sedette su una sedia e rimase a osservare la scena con attenzione. Mister Ashley e Miss Twiggle, ambedue quasi nudi, rotolavano su e giù per il tappeto, con le membra allacciate, come in una lotta: lui emetteva grugniti e lei suoni striduli. Sul tavolo vi erano una bottiglia di whisky vuota e due bicchieri mezzi pieni. A un certo punto i due parvero stanchi, e si fermarono ansimando. Cyril tossicchiò con discrezione. La coppia balzò su spaventata, e due volti pervasi di rossore lo fissarono. Non sapeva bene come interpretare la cosa, ma negli sguardi dei due lesse vergogna e senso di colpa. Tanto gli bastava. Senza una parola si alzò e fece ritorno in camera sua. Nessuno, nei giorni successivi, accennò a quanto era avvenuto e Cyril, dal canto suo, non disse una parola al riguardo. Nel comportamento della governante e del tutore, già piuttosto impacciato, subentrò a partire da allora una sorta di sottomissione, di cui Cyril godeva pienamente. Pur non sapendone bene il motivo, si rendeva tuttavia perfettamente conto di tenerli moralmente in pugno. Per sottolineare la distanza che lo separava da loro, a cena volle avere d'allora in avanti un tavolo soltanto per sé. Non lo disturbava affatto che gli altri ospiti dell'albergo lo guardassero, di sottecchi o apertamente, come si osserva un animale strano al giardino zoologico. Dopo cena in genere andava a sedersi da solo per un'altra ora o due nella lounge. Quando Miss Twiggle veniva infine timidamente a pregarlo di voler andare a letto, egli la zittiva bruscamente e la mandava via. Rimaneva lì seduto come se volesse ingannare il tempo, in attesa che giungesse il momento stabilito. In effetti, Cyril attendeva. In fondo attendeva da quando era venuto al mondo, sebbene non sapesse che cosa stava attendendo.
Una sera, le cose cambiarono. Cyril stava vagando sui tappeti dei corridoi dell'Hotel d'Inghilterra, a Roma, quando, dalla nicchia di una finestra, nascosta oltre le grandi foglie di una palma da appartamento, udì provenire singhiozzi repressi ma disperati. S'avvicinò, col suo passo leggero, e scoprì una bambinetta che poteva avere la sua stessa età, rannicchiata in una delle grandi poltrone in pelle, con il volto nascosto nei braccioli, tutta in lagrime. Lo spettacolo di emozioni manifestate con tale assenza di ritegno era per lui qualcosa di nuovo e di strano. Per un pezzo rimase a guardarla in silenzio, poi si decise a domandarle: «Posso fare qualcosa per lei, Miss?»
Lei gli rivolse il viso inondato di lagrime e, guardandolo trucemente, sibilò: «Non mi fissare con quegli stupidi occhi da pesce! Lasciami in pace!» Aveva parlato in inglese, ma con una pronunzia larga, stranamente piatta, che Cyril non aveva mai sentito.
«Mi spiace, Miss», rispose lui con un piccolo inchino, «non volevo disturbarla.»
Lei sembrò aspettare che il ragazzino se ne andasse, ma lui non lo fece.
«Vattene un po'», sbuffò lei. «Impicciati degli affari tuoi.» Nonostante la durezza delle parole, il tono era già meno scostante.
«Certo, Miss», rispose, «capisco perfettamente. Mi permette di sedermi per un momento?»
Lei gli rivolse un'occhiata dubbiosa, incerta se quel bambino si stesse prendendo giuoco di lei o no. Poi fece spallucce. «Fai quello che ti pare. Le poltrone mica sono mie.»
Si sedette dirimpetto a lei, guardando come si soffiava il naso. Infine chiese: «Qualcuno le ha dato un dispiacere, Miss?»
La bambina sbuffò. «Si, zia Ann. Mi ha convinto a venire con lei in questo orribile viaggio in Europa. Oramai manchiamo da casa da quasi quattro mesi, capisci, quattro mesi, perché lei ha pagato tutto in anticipo, e ora dice che è un sacco di soldi e che non li vuole buttare dalla finestra solo per colpa mia.»
Cyril rimase a riflettere, poi disse: «Onestamente, Miss, non vedo che cosa vi sia da dispiacersi tanto».
«Ah», rispose lei con impazienza, «semplicemente ho nostalgia di casa, una tremenda nostalgia di casa.»
«Lei ha … che cosa?» le chiese senza capire.
La bambina continuò a chiacchierare come se non avesse nemmeno sentito la domanda di Cyril. «Se almeno mi facesse tornare a casa da sola! Mica voglio che torni con me. Prenderei la prima nave e me ne tornerei a casa, ecco. Non mi importa quanto ci metterei, almeno sarebbe la direzione giusta. Mi sentirei subito meglio, ogni giorno un pochino di più. Forse Dad e Mum potrebbero venirmi a prendere a New York, perché con il treno non mi oriento bene.»
«È malata, Miss?» si informò Cyril.
«Si … No … ma che cosa ne so!» Lo guardò seccata. «Comunque, una cosa è sicura. Se non posso tornare subito a casa, muoio.»
«Davvero?» le chiese lui, interessato. «E perché?»
Allora lei incominciò a raccontargli di un paesino sperduto nel Midwest degli Stati Uniti, dove vivevano suo padre e sua madre, assieme ai suoi fratellini minori, Tom e Aby, e Sarah, la vecchia, grassa negra che conosceva tante canzoni e storie di spiriti, e dove c'era il suo cagnolino Fips, che sapeva acchiappare i topi e che una volta si era perfino azzuffato con un tasso, e del grande bosco che si stendeva dietro la casa, dove si trovavano delle bacche particolari, e poi di un certo Mister Cunnigle, che aveva un negozio nel villaggio vicino, dove si poteva comprare assolutamente di tutto e dove si sentiva un odore così e così, e di mille altre cose del tutto prive d'importanza. Parlò entusiasmandosi e il fatto di menzionare ogni singolo particolare, per quanto secondario, parve davvero giovarle.
Cyril ascoltava e cercava di capire che cosa diavolo vi fosse in tutto ciò di talmente particolare, che qualcuno al mondo non sapesse rinunciarvi nemmeno per un paio di mesi. La bambina invece parve sentirsi capita, perché alla fine lo ringraziò per il suo interesse e lo invitò ad andarla a trovare, semmai fosse passato da quelle parti. Poi se ne andò, manifestamente consolata e sollevata. Lui non aveva nemmeno saputo come si chiamasse.
Il giorno seguente doveva avere proseguito il suo viaggio con la zia, poiché Cyril non la trovò da alcuna parte e nemmeno voleva chiedere di lei. In fondo gli era del tutto indifferente. Ciò che gli dava da pensare era piuttosto la particolare condizione della bambina, quel sentimento che lei aveva chiamato nostalgia di casa e che per lui non aveva assolutamente alcun significato. Per la prima volta divenne cosciente – seppur in modo confuso – di non avere mai avuto qualcosa di simile a una casa, nulla di cui poter provare nostalgia e rimpianto. Che qualcosa gli mancasse era un fatto indiscutibile, eppure non sapeva decidersi se ciò fosse un vantaggio o un danno. Decise di approfondire la cosa.
Non rivelò nulla né a Mister Ashley, né a Miss Twiggle, né a maggior ragione a suo padre, ma da quel giorno cercò di parlare spesso con gli estranei. E, nei suoi discorsi, prima o poi li spingeva a raccontare di casa loro. Gli era indifferente, da questo punto di vista, che si trattasse di bambini, di anziane signore o di signori, della cameriera, del valletto o del direttore dell'albergo. Infatti scoprì presto che tutti, senza eccezione, sembravano parlarne volentieri e che spesso un sorriso splendeva sul loro volto. Alcuni si illuminavano negli occhi e divenivano loquaci, altri erano colti da malinconia, ma tutti sembravano tenere molto alla cosa. Anche se i singoli particolari erano sempre differenti, in un certo senso i resoconti si assomigliavano tutti. Non vi era mai qualcosa di unico, di singolare, che potesse giustificare un tale profluvio di sentimentalismo. Un'altra cosa ancora lo colpì: la casa non doveva affatto essere necessariamente il proprio luogo di nascita. Allo stesso modo, però, non si identificava con la residenza attuale. Da che cosa veniva dunque determinata, e chi era a determinarla? Era ciascuno di loro, a sua propria discrezione? E perché lui non aveva nulla di simile? Evidentemente tutti, tranne lui, avevano qualcosa che era come un santuario, una cosa preziosa, il cui valore, pur non essendo riposto in nulla di concreto e dimostrabile, era non meno reale. Il pensiero che proprio lui potesse venire escluso da un simile possesso gli sembrava intollerabile. Era disposto a procurarselo a ogni costo. Da qualche parte doveva pur esservi al mondo qualcosa del genere anche per lui.
Cyril estorse a suo padre il permesso di potersi avventurare in giro al di fuori dell'albergo dove di volta in volta soggiornavano. Il permesso gli fu accordato, seppure alla rigida condizione che tali escursioni avvenissero esclusivamente in compagnia di Mister Ashley, di Miss Twiggle o di entrambi.
Sulle prime vi furono un paio di uscite a tre, ma presto Cyril se ne stancò, dato che i suoi accompagnatori erano principalmente impegnati l'uno con l'altra. Per qualche motivo insondabile Miss Twiggle pareva soffrire terribilmente a causa di Mister Ashley. Ogni sua parola era una rimostranza nei confronti dell'uomo. Mister Ashley, per contro, replicava con freddezza e sarcasmo. Cyril non teneva in modo particolare a nessuno dei due, ma dovendo scegliere per realizzare i propri scopi, cosa che sembrava inevitabile, preferiva Mister Ashley. Con stupore e anche con un po' di fastidio, dato che nel frattempo si era abituato a dedicarsi, al di fuori del proprio orario di lavoro e di insegnamento, ai propri divertimenti, non sempre irreprensibili, il tutore si avvide che Cyril pareva oramai deciso ad accompagnarlo ovunque. Mister Ashley, che del resto non era a conoscenza dei veri motivi del suo allievo, era non di meno perfino un po' orgoglioso, pur tra sé, ritenendo che l'improvviso interesse del bambino per paesi e popoli fosse il risultato dello sforzo educativo da lui compiuto durante lunghi anni.
Inizialmente si limitò a mostrargli i viali monumentali e le piazze, i palazzi, le chiese, le rovine di templi e le altre cose mirabili che a quel tempo facevano parte del bagaglio culturale di ogni viaggiatore inglese. Cyril osservava tutto con una certa attenzione critica, ma ciò che vedeva sembrava lasciarlo indifferente. Per venire incontro alle aspettative inespresse del piccolo, Mister Ashley si avventurò allora con lui per contrade meno note, visitando slums e quartieri poveri, porti e spelonche, e poi, uscendo dai confini urbani, andando anche per monti e golfi, deserti e foreste. Nel corso di queste imprese compiute in comune, si instaurò tra i due una sorta di rapporto cameratesco, che alla fine condusse Mister Ashley a trascinare il suo discepolo non soltanto a vedere combattimenti di galli e corse dei cani, ma anche ad assistere a spettacoli di varietà d'infimo ordine e a visitare altri luoghi d'intrattenimento ancora più dubbi. Avendo infine maturato la certezza di poter contare sulla discrezione di Cyril e non riuscendo in alcun modo a scrollarselo di dosso, di tanto in tanto finirono persino col visitare assieme case particolari, dove il ragazzo aspettava in un salone finché il tutore non faceva ritorno dalla sua urgente discussione a quattr'occhi con una delle impiegate.
Cyril prendeva atto di tutto con la stessa espressione imperturbabile, dato che, a quanto aveva appreso nel corso di innumerevoli conversazioni, una casa poteva essere ovunque. Inutilmente aspettava però di provare una sensazione di gioia o di tristezza, in una qualunque occasione. Nulla di ciò che vedeva aveva per lui un qualche significato. Ma questa era naturalmente una cosa che il ragazzo teneva per sé.
Alla lunga, quelle discutibili escursioni di studio non poterono passare inosservate al padre. I pettegolezzi riguardo a esse si erano già da tempo diffusi in tutta la società vittoriana, provocando la debita indignazione, ed era soltanto Lord Abercomby, come spesso avviene in questi casi, a esserne del tutto all'oscuro. Una volta tuttavia – era da poco passato il dodicesimo compleanno di Cyril – padre e figlio si incontrarono a tarda sera in una di quelle istituzioni della vita mondana di Madrid, che a quel tempo era divenuta di moda. Il ragazzo sedeva su un divano orientale della sala, tra drappi e piume di pavone, attorniato da quattro giovani donne in négligé che chiacchieravano animatamente con lui, ciascuna intenta a raccontargli – che cos'altro poteva essere? – di casa sua. Lord Abercomby passò davanti al figlio senza una parola, come se non lo conoscesse, abbandonando il luogo del peccato. II giorno dopo, al tè delle cinque, Cyril venne però a sapere che il tutore era stato licenziato in tronco. Padre e figlio non scambiarono parola riguardo all'accaduto, poiché si era in un'epoca di costumi severi. Due giorni dopo fu Miss Twiggle a dare le proprie dimissioni al Lord, con atteggiamento controllato ma il naso rosso di pianto. Quando rimase sola con Cyril, gli confessò: «Forse tu non puoi ancora capire quanto è avvenuto, mio caro. Però Max, cioè intendo Mister Ashley, è il primo e l'unico amore della mia vita. Lo seguirò ovunque vada, anche se fosse nella miseria e nella morte. Ricordati di me, in avvenire, quando sarai tu ad amare a tua volta.» Poi cercò di baciarlo in segno di commiato, cosa che Cyril le impedì con successo.
La ricerca di un nuovo tutore e di una nuova governante si rivelò presto superflua, poiché già tre settimane dopo il Lord ricevette un telegramma con la notizia che Lady Olivia era deceduta dopo una lunga malattia, contratta probabilmente durante il soggiorno in India. Padre e figlio si misero immediatamente in viaggio per il South Essex, in modo da poter partecipare alla cerimonia funebre. Questa ebbe luogo, com'era da aspettarsi, sotto una pioggia battente. Era la prima volta che Cyril metteva piede in Inghilterra. Se pure aveva pensato di provare una qualunque sensazione nel trovarsi a casa, rimase deluso. Anche Claystone Manor, la residenza degli Abercomby alla quale lo condusse il padre, gli risultò piuttosto deludente. L'enorme cassone oscuro, ricolmo di armi, che in confronto agli alberghi internazionali era privo di qualsiasi comodità e dove si pativa costantemente il freddo, gli era e gli rimase del tutto estraneo.
Lord Abercomby tenne il proprio erede all'oscuro del fatto che, morendo, la madre, che non lo aveva mai più visto dopo i primi mesi di vita, lo aveva lasciato unico erede dell'intero suo patrimonio. Intendeva comunicarglielo soltanto il giorno della sua maggiore età, affinché non potesse nascere in lui neppure il più infantile sentimento di gratitudine. Anche questo faceva parte della punizione, sia pure postuma, inflitta alla fedifraga consorte.
Poiché a questo punto era venuto meno il motivo che lo aveva costretto a condurre con sé il ragazzo in giro per il mondo, lo affidò subito a una di quelle famose istituzioni confacenti alle classi superiori, il college di E., dove i ragazzi inglesi venivano educati a essere adulti inglesi. Cyril si adattò all'assenza di cultura pedagogica con un certo indolente disprezzo, dando ai propri compagni – e ancora di più ai suoi insegnanti – la netta sensazione di non prenderli poi tanto sul serio. Essendo tuttavia un allievo di eccezionale valore (a quell'epoca parlava già otto lingue, quasi senza errori) veniva considerato un faro del college, benché nessuno lo avesse in particolare simpatia. Conclusi gli studi a E., passò agli istituti superiori di O., come si confaceva a un membro della sua classe, iniziando a studiarvi filosofia e storia.
Dopo qualche semestre, inaspettatamente, Cyril ricevette la visita di Mister Thorne, l'avvocato di famiglia. Stranamente, ciò avvenne poco dopo il suo ventunesimo compleanno. L'anziano signore prese posto ansimando su una sedia, incominciando, con goffe circonlocuzioni, a preparare il giovane a quello che definì un «tragico evento». A seguito di una sfortunata caduta da cavallo, avvenuta nel corso di una caccia alla volpe nei pressi di Fontainebleau, Lord Basil Abercomby si era rotto l'osso del collo. Cyril ascoltò la notizia senza muovere un solo muscolo del volto.
«A questo punto», concluse Mister Thorne asciugandosi con un fazzoletto la fronte e il doppio mento, «Voi non siete dunque soltanto l'erede del titolo del Vostro onorato signor padre, bensì pure l'erede assoluto dell'asse patrimoniale paterno nonché di quello materno, dei loro possedimenti mobili e immobili, in considerazione del fatto che Voi, mio caro amico, siete l'unico discendente delle due famiglie. Mi sono permesso di portare con me tutte le fonti, i documenti, gli inventari e i registri di bilancio, affinché possiate, se lo volete, avere subito un quadro complessivo della situazione.»
Trasse a sé una borsa pesante e la issò sulle ginocchia.
«Grazie», interloquì Cyril. «Non se ne dia pena.»
«Ah, capisco», rispose Mister Thorne, «ce ne occuperemo in un secondo momento. Perdonatemi, non volevo mancare di tatto. Avete qualche desiderio particolare riguardo alla cerimonia funebre?»
«Non che io sappia», rispose Cyril. «Affido tutto a Lei. Saprà certo provvedere a quanto necessario.»
«Certamente, Milord. Quando pensate di partire?»
«Per andare dove?»
«Mah, al funerale di Vostro padre, ritengo.»
«Mio caro Mister Thorne», disse Cyril, «non vedo proprio quale motivo al mondo dovrebbe spingermi a sottostare a una cosa simile. Odio questo genere di cerimonie. Faccia del cadavere ciò che ritiene più opportuno.»
L'avvocato tossì, arrossendo in volto. «Ebbene, sicuro», replicò, sforzandosi visibilmente di darsi un contegno, «non è certo un segreto che tra Voi e il Vostro signor padre non vi era, come dire, un accordo ideale. Eppure, mi pare che adesso, essendo egli deceduto … Perdonate se mi permetto di ricordarvi che esistono pure doveri filiali.»
«Davvero?» chiese Cyril alzando leggermente un sopracciglio.
Mister Thorne aprì la borsa, poi tornò a richiuderla imbarazzato. «Vi prego di non fraintendermi, Milord. Naturalmente si tratta di una decisione che dipende esclusivamente dalla Vostra volontà. Intendevo soltanto sottolineare che l'opinione pubblica baderà a ogni particolare di un simile avvenimento.»
«Farà cosa?» replicò Cyril in tono annoiato.
«Ebbene, dunque», riprese Mister Thorne, «per quanto riguarda la questione dell'eredità, proporrei …»
«Venda tutto», lo interruppe Cyril.
L'avvocato rimase di stucco, guardandolo a bocca aperta.
«Si», proseguì Cyril, «ha capito bene, mio caro. Non voglio conservare nulla. Capitalizzi tutto quello che non è già capitale. Lei saprà certamente come farlo nel migliore dei modi.»
«Intendete dunque dire», esclamò Mister Thorne, «i possedimenti, le foreste, i castelli, i tesori d'arte, la collezione del Vostro signor padre …?»
Cyril assentì seccamente con il capo. «Via tutto. Vendere.»
L'anziano signore era rimasto senza fiato: boccheggiava, viola in viso, come un pesce fuor d'acqua.
«Bisognerà riflettere a fondo su questo, Milord. Ora siamo forse in una condizione di spirito tale, che … Ebbene, per essere del tutto chiari: questa è una cosa che non è possibile fare. Non si può, assolutamente. Sono oramai da quarantacinque anni l'avvocato di fiducia della Vostra famiglia, e devo dire che ciò sarebbe … sarebbe … contro ogni e qualsiasi … Considerate, Vi prego, che in definitiva si tratta di possedimenti che i Vostri predecessori, nel corso di secoli … No, ascoltatemi, Cyril, se mi consentite di chiamarvi ancora una volta così. Avete il dovere morale, che i Vostri discendenti …»
Il giovane Lord gli rivolse bruscamente le spalle, guardando fuori della finestra. Freddamente, ma con un'evidente impazienza nella voce, replicò: «Non avrò discendenti».
L'avvocato alzò le mani grassocce per difendersi: «Mio caro ragazzo, questa non è una cosa che possa sapersi con certezza alla Vostra età. Potrebbe ben essere …»
«No», l'interruppe duramente Cyril, «non potrebbe essere. E non mi chiami caro ragazzo.»
Si volse di nuovo a guardarlo, squadrandolo con freddezza. «Se le sue perplessità sono insormontabili, Mister Thorne, non sarà difficile trovare qualcuno che voglia occuparsene in sua vece. Buon giorno.»
Furibondo per il trattamento che, del tutto immeritatamente, gli era stato inflitto, Mister Thorne decise sulle prime di non accettare quell'incarico che, fra sé, definiva «immorale e privo di coscienza». Già nel corso del suo viaggio di ritorno a Londra, tuttavia, la sua irritazione scemò grazie a riflessioni sempre più chiare e ponderate. Nei due giorni seguenti, dopo essersi consultato con i suoi due soci, Saymor & Puddleby, giunse alla conclusione che il guadagno del tutto legale che ci si sarebbe potuti aspettare soltanto dalle provvigioni previste per vendite di quell'ordine di grandezza era tale da compensare ampiamente qualsiasi danno che la corresponsabilità in un prevedibile scandalo avrebbe potuto arrecare alla fama sino ad allora irreprensibile del loro studio.
In uno scritto pieno di clausole, indirizzato al giovane Lord, la Mister Thorne & Co. dichiarò quindi la propria disponibilità ad assumersi il compito e, a stretto giro di posta, ne ricevette la copia, controfirmata da Cyril Abercomby. La cosa incominciò ad avere il suo corso.
Quando l'opinione pubblica ne fu informata (cosa, questa, del tutto inevitabile) vi fu una tempesta d'indignazione. Non furono soltanto l’alta nobiltà e il ceto superiore del regno a esprimere coralmente la loro suprema ripugnanza nei confronti di una tale inaudita assenza di rispetto della tradizione e di coscienza di status. Della questione si occupò infatti per vari giorni anche il Parlamento, mentre perfino nei pub delle classi inferiori si intavolavano infuocate discussioni riguardo alla questione se un tale individuo potesse addirittura seguitare ad avere il diritto di chiamarsi suddito di Sua Maestà. Dal punto di vista giuridico non vi era tuttavia alcun appiglio che consentisse di opporsi a quella «svendita della cultura e della dignità inglesi», come titolavano numerosi quotidiani. Saggiamente, era stata la Mister Thorne & Co. a provvedere per tempo a ciò, formulando tutte le condizioni.
Cyril stesso rimase completamente indifferente a tutto il trambusto provocato. Aveva immediatamente interrotto gli studi appena iniziati e si trovava all'estero da tempo. Negli anni seguenti viaggiò per il mondo senza alcun obiettivo definito, visitando città e paesi e avendo come uniche guide il caso e i propri umori. Questa volta tuttavia non si limitò, come avveniva ai tempi in cui suo padre era ancora in vita, all'Europa e al Vicino Oriente, ma si avventurò anche in Africa, in India, in America Latina e nell'Estremo Oriente. Così facendo si annoiava quasi a morte, poiché né i paesaggi né le costruzioni né gli oceani né le usanze e i costumi dei popoli stranieri risvegliavano in lui qualcosa di più di un interesse superficiale, per amore del quale non valeva quasi la pena di abbandonare, sia pure temporaneamente, le comodità del Grand Hôtel di turno. Non riuscendo a trovare in alcun modo, a questo mondo, il segreto della propria appartenenza a qualche cosa, anche le altre meraviglie restavano per lui mute e prive di senso.
Unico suo accompagnatore in quel vagare era un domestico di nome Wang, che egli aveva affrancato a Hong Kong dal capo del sindacato dell'oppio. Wang possedeva la capacità, confinante con il sovrannaturale, di non esistere quando non vi era bisogno di lui, e di essere sempre sul posto quando il padrone aveva necessità dei suoi servigi. Inoltre, pareva già conoscere in anticipo i desideri del padrone, così che essi non avevano quasi bisogno di scambiare parola.
L'aristocrazia inglese era inizialmente giunta al tacito accordo di boicottare la vendita dell'eredità di Abercomby, ma presto dovette risolversi a una decisione migliore … o peggiore, se vogliamo. Non furono pochi gli stranieri interessati che si fecero vivi, e, di conseguenza, le loro offerte fecero lievitare i prezzi. Quando infine un miliardario americano, il re del caucciù Jason Popey, acquistò senza tante cerimonie Claystone Manor, con tutto ciò che esso conteneva e che lo circondava, assumendo perfino il vecchio maggiordomo Jonathan, l'orgoglio nazionale ne fu scioccato. Per salvare il salvabile, le famiglie ricche e potenti dell'impero ingaggiarono una vera e propria corsa all'acquisto di ciò che ancora era disponibile. Va ascritto a merito della Mister Thorne & Co. l'avere privilegiato le trattative con tali acquirenti, anche se a volte ciò significava dover cedere un poco sul prezzo. Già tre anni dopo la morte del vecchio Lord Abercomby, il giovane Cyril era divenuto uno dei cento uomini più ricchi della terra, almeno per quanto riguardava il suo conto in banca.
Lentamente la tempesta si placò, e la società si dedicò a nuovi argomenti di conversazione. L'unico interrogativo che ancora turbava qualche animo, specie quello delle figlie che le madri volevano maritare, riguardava le intenzioni di Cyril Abercomby nei confronti di quell'immensa quantità di denaro. A quanto si sapeva egli non si dedicava al giuoco, né partecipava a scommesse di alcun genere. Non aveva nemmeno passioni costose, quali collezionare vasi d'epoca Ming oppure gioielli indiani. Il suo abbigliamento era impeccabile, ma non costoso. Viveva in modo adeguato al proprio status, ma soltanto in albergo. Non manteneva costose amanti, né si dedicava ad altri ancor più discreti piaceri. Che cosa voleva fare di quel denaro? Nessuno lo sapeva, e meno che mai lui stesso.