Luigi Capuana

Il Benefattore

Pubblicato da Good Press, 2020
goodpress@okpublishing.info
EAN 4064066068417

Indice


I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
IX.
X.
XI.
XII
XIII.
PER UN SOGNO.
RACCONTAVA IL DOTTOR MAGGIOLI…
CARE PARENTESI.
ENIMMA.
FINE.

I.

Indice

Dal balcone centrale dell'Albergo del Gallo in piazza del Municipio a Settefonti, visto fermare la carrozza davanti al portoncino, l'albergatore era sceso giù in maniche di camicia, per dare il ben arrivato ai forestieri; e rimaneva un po' deluso, scorgendo che la carrozza ne conteneva uno solo. Il quale poi non si affrettava a smontare, ma restava rannicchiato in fondo al legno, con gli occhi socchiusi, quasi non avesse ancora avuto il tempo di svegliarsi interamente dal sonno fatto lungo la strada.

Invece, il viaggiatore non credeva di essere già arrivato. Udita però la voce dell'albergatore che, cavandosi il berretto di lana a maglia con fiorami rossi e verdi, gli domandava se doveva poi portar su le due valigie, balzava lesto a terra accennando col capo una risposta affermativa; e si metteva sùbito a guardare attorno, per la piazza, come persona che cercasse d'indovinare una località, un indirizzo, secondo le indicazioni ricevute.

Fece un gesto di soddisfazione infatti, pagò il cocchiere, disse, con accento straniero, all'albergatore:—Una stanza, tutta per me! (da questo si capiva che era pratico degli alberghi dei paesetti siciliani) e si avviò direttamente verso lo studio notarile, su la porta del quale egli aveva potuto leggere da lontano: BANCA LA BELLA, quantunque lo scritto della misera insegna fosse mezzo scancellato.

Il notaio giocava a tressetti con un vecchio prete e lo scrivano. All'apparire del forestiero fermatosi un istante sulla soglia—la porta era spalancata, e non c'era vetrina o paravento che vietasse ai curiosi ed agli sfaccendati di osservare da fuori quel che si faceva là dentro—il notaio, deponendo le carte che teneva spiegate in una mano, si sollevava a metà dalla seggiola a bracciuoli, e con un inchino invitava colui a inoltrarsi.

—In che posso servirvi, signore?

—Credo di parlare col notaio La Bella—disse il forestiero.

—Precisamente.

—Ecco una lettera che le spiegherà il motivo della mia venuta.

Sul viso del notaio si scorgeva lo stupore e l'incredulità suscitatigli dalla lettura di quel foglio azzurrognolo che egli teneva a distanza per aiutare gli occhiali a capestro lasciati scivolare fin sulla punta del naso, come ne aveva l'abitudine.

—Sicchè—poi esclamò, posando il foglio sul tavolino e squadrando da capo a piedi il forestiero—voi vorreste acquistare dei terreni, cioè i terreni che di là della strada provinciale salgono verso le colline di Tirantello e il molino del Cucchiaio?

—Tutti.

—Ma sono un mucchio di sassi, buoni soltanto per piantarvi sommaco; io non li vorrei neppure regalati.

—Io, invece, non li chiedo in regalo; li pago in contanti sùbito, quel che valgono e anche più.

—Parlavo per conto mio—si corresse il notaio.—Scusate. Qui suol dirsi:—Ne sa più un pazzo in casa sua, che un savio in casa altrui.—Ed è vero. Giacchè voi li comprate, significa che vi conviene. Tanto meglio. Siete francese, signore?

—Inglese, di Dublino, in Scozia. Ma vivo da vent'anni in Italia, e da dieci corro in su e in giù la Sicilia specialmente, pei sugheri. Voglio bene a quest'isola; voglio diventare siciliano: e compro terreni per speculare. La coltivazione qui è molto indietro. Darò il buon esempio.

—Avete udito, canonico?—disse il notaio volgendosi al prete che ancora discuteva con lo scrivano l'ultima giocata di tressetti interrotta dal forestiero.—Questo signore compra i terreni di Tirantello fino al mulino del Cucchiaio. Vostro fratello il dottore ne ha un bel pezzetto… e i Laureano potranno rimpannucciarsi.

—So che lei è un notaio onesto, una brava persona—lo interruppe l'inglese senza dar tempo di rispondere al canonico avvicinatosi sgranando gli occhi, per veder bene in faccia quel pazzo che aveva denaro da buttar via.—Io mi affido a lei per le pratiche coi proprietarii e pei contratti. Una settimana basterà?

—Se dipendesse soltanto da me, vi sbrigherei oggi stesso—soggiunse il notaio sorridendo.

—Sono all'albergo là in faccia…

—Vi troverete male, caro signore.

—Non importa. Conosco gli usi; mi adatto.

—Se voleste intanto indicarmi meglio i fondi… Da qui dietro, dal
Muraglione, li avremmo tutti sottocchio.

Uscirono insieme, accompagnati dal canonico; infilarono un vicoletto, poi un altro, e sbucarono su la spianata detta del Muraglione perchè un solido muro a calce, specie di bastioncino, impediva che da quella parte il terreno franasse nella vallata sottoposta.

Laggiù lo stradone provinciale tagliava in mezzo la bassa pianura. Poi i campi sassosi salivano a poco a poco in su, con scarsi alberi di ulivo, finchè non si fondevano con le colline stese in lunga fila, irte e brulle, da settentrione a mezzo giorno, e che il sole vicino al tramonto faceva apparire in tutta la loro arida nudità.

L'inglese indicò con la mano la estensione di terreni che avrebbe voluto comprare, se fosse stato possibile.

—Ma i proprietarii saranno felicissimi di sbarazzarsene—disse il notaio.—Non ne cavano tanto da pagare la fondiaria.

—Eh! Chi lo sa?—obbiettò il canonico.—Mio fratello, per esempio…

Il canonico voleva attenuare l'imprudenza delle parole del notaio.
Pensava che l'inglese doveva aver fatto bene i suoi calcoli; ora non
gli sembrava più uomo da buttar via sbadatamente il denaro. Inglese?
Positivo dunque. Non bisognava lasciarsi imbrogliare.

—Mio fratello, per esempio…—ripigliò dopo breve pausa.

—State zitto; non gli parrà vero di levarsi di torno quella grillaia lasciatagli in eredità dalla nonna.

—Eh! Eh! Andiamo!—conchiuse il canonico, tirando una presa di rapè, stizzito della risposta.

L'inglese pareva estasiato davanti alla bellezza del paesaggio. Dietro il dosso ineguale delle colline a destra, in fondo, la Piana di Catania; più in giù, la Piana di Lentini, l'agro Leontino dei Romani allora granaio della repubblica, e che ora non produceva tanto grano da bastare ai bisogni dell'isola. A sinistra, colla cappa di neve tinta in roseo dal sole in tramonto, e col pennacchio di fumo al cratere, l'Etna, modellato come un'enorme mammella posata su l'immenso vassoio della Piana; la tinta rosea delle nevi agevolava l'illusione. Un cielo densamente azzurro, limpidissimo, sorrideva su la stesa dei campi verdeggianti, su la mole del gran vulcano; e la trasparenza straordinaria dell'atmosfera rendeva percettibili i vigneti, i boschi di quercie e di castagni, i paesetti stesi a piè di esso quasi perle sgranate di una collana, luccicanti di qualche vivo riflesso dei vetri delle case, che si distinguevano soltanto come macchie bianchicce tra il verde della rigogliosa vegetazione e il color cupo dei terreni e della lava.

—Ecco don Liddu che viene a cercarvi—disse il notaio.

Il proprietario dell'Albergo del Gallo era andato alla Banca notarile per chiedere gli ordini pel desinare del suo avventore; e lo scrivano lo avea rimandato al Muraglione dove il forestiero doveva trovarsi col principale e col canonico per vedere i terreni.

—Che terreni?—aveva domandato don Liddu.

—Dice che vuol comprare dei terreni, a quel che ho potuto capire.

Don Liddu si era affrettato a raggiungere il forestiero e gli altri, anche per curiosità; e spalancò gli occhi quando il notaio, ridendo, gli disse:

—Se aveste un fondo colà, a Tirantello o al Cucchiaio, ora potreste arricchirvi, don Liddu.

Sapendo che miglior banditore non avrebbe potuto trovare, il notaio lo incaricò di spargere la notizia in paese. Non occorreva.

Prima che annottasse, tutto Settefonti sapeva dell'inglese venuto a comprare Tirantello e il Cucchiaio: e non c'era stato uno che non avesse dato del matto a quel forestiero. Mancavan terreni eccellenti a Settefonti?

—Ma già, gli inglesi hanno tanti quattrini che non sanno che
farsene—aveva sentenziato il Sindaco, appresa la notizia in
Casino.—Peccato che io non possegga un palmo di terreno colà!
Dovrebbe pagarlo a peso d'oro.

II.

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Sin dal mattino del giorno dopo, fu una processione di interessati alla Banca del notaio La Bella.

—È dunque vero, notaio?

—Verissimo.

—Io ho mezza salma di terra a Tirantello.

—Io due salme sotto il Cucchiaio.

—Io venderei pure il mulino e il diritto dell'acqua.

—Bravi! A uno a uno.

—Ma bisogna intenderci, notaio!

—Che? Fino a ieri, tu non sapevi che fartene di quelle quattro zolle sassose, e ora nicchi?

—Ah, notaio! Voi tirate per l'inglese.

—Io non tiro per nessuno, ma per la verità, per l'onestà. Dobbiamo spogliarlo perche è inglese? Non è uno sciocco, sappiatelo. E poi, ci sono i periti, c'è il catasto. Dovreste benedire la divina Provvidenza che vi manda costui a questi lumi di luna. Darà lavoro a tutto il paese. Ha intenzioni grandiose. Non è pero uno sciocco, vi ripeto. Se si accorge che volete approfittarvi, è anche capace di andarsene d'onde è venuto. La Sicilia è vasta; e allora vi morderete le mani! Tenetevelo per detto.

—Notaio, fate voscenza.

—Niente affatto; ve la vedrete con lui. Eccolo qua.

Il signor Pietro Kyllea diede una forte scossa di mano al notaio e guardò in viso quella ventina di persone che gli si affollarono attorno, osservandole a una a una, poi domando:

—Sono i proprietari?

—Gran parte. Qualcuno verrà più tardi.

I più premurosi ad accorrere erano stati i contadini, i piccoli possessori, ai quali non sembrava vero di poter vendere terreni ingrati da cui non riuscivano a cavar niente, all'infuori di magri pascoli per le capre e pel bestiame. La inattesa ricerca aveva intanto destato in essi tutte le avidità del povero che vive in continua diffidenza contro il ricco. Nello stesso tempo che si rallegravano della incredibile fortuna loro capitata, volevano ricavarne più che era possibile; quasi la ricerca centuplicasse il valore dei loro terreni, e nascondesse un tranello. Fino allora non si erano accorti di possedere un tesoro. Ora, non avrebbero voluto lasciarselo strappare di mano.

L'inglese si rivolse al notaio:

—Facciamo una nota. Sceglieremo due, tre periti. Se possiamo metterci di accordo senza andar tanto per le lunghe, meglio. Se no, buona notte!

Quel:—Buona notte!—fece ridere.

I contadini si guardarono in viso, per consultarsi. Si vedevano davanti un uomo risoluto che andava per le spiccie e che non intendeva di esser messo nel sacco. Sì, o no, lealmente. Voleva anche pagare qualcosa di più per ingraziarsi la gente che poi doveva, se le fosse piaciuto, lavorare per lui. Ma aveva fretta di concludere. Sì, o no. Non sapeva nemmeno lui perchè avesse scelto quei campi di Settefonti; l'ispirazione gli era venuta attraversando lo stradone, per affari. Aveva pensato:—Tentiamo!—Se sbagliava, peggio per lui.

Questo aveva egli detto, mentre il notaio compilava la nota con lo scrivano, dopo aver interrogato coloro che stavano più vicini al tavolino. I contadini davano le indicazioni e facevano posto a quelli dietro.

—Sarete chiamati uno appresso all'altro.

E tutti erano andati via lentamente, un po' delusi, quasi fossero venuti là con la certezza di riempirsi le tasche di quattrini sùbito sùbito.

Più tardi vennero dal notaio il fratello del canonico e uno dei
Laureano.

—Dunque?

—Se date retta a vostro fratello, perderete la buona fortuna—disse il notaio al dottore.

—Ma io gli cedo quella grillaia anche a metà prezzo—esclamò il dottore.

—Per quel che vale—rispose il notaio.

—E voialtri?

—Noi siamo tre fratelli. Ognuno per sè e Dio per tutti. Io vendo la mia porzione, col terzo di più, se l'inglese la vuole. Prima però, starò a vedere quel che concludono gli altri.

—Santa prudenza!—approvò il La Bella.

—Vi farete d'oro,—soggiunse il dottore.

—Mio fratello, il canonico, ha fatto il conto che stipulerete in una settimana più atti che non nel corso di un intero anno. Beato voi!

—E voi acquisterete un nuovo cliente. Badate di non ammazzarlo sùbito. Rovinereste il paese. A quel che ho potuto capire, questo inglese darà lavoro a tutti.

—O che vuol fare? Mutare i sassi in pane?

—È uomo che se ne intende. Comprerà macchine a vapore, farà…

—Bravo! Macchine? Si vede proprio che se ne intende! Crede di essere in Inghilterra? Qui le vere macchine sono il sole e la pioggia quando Domeneddio la manda giù. I tempi sono cambiati. Prima si diceva:

    Sicilia, isola verde,
    Per tropp'acqua si deperde

Oggi, piove ogni sei mesi, quando piove! Farà la pioggia con le macchine costui? Basta; prenda la mia grillaia di Tirantello, e Dio gliela mandi buona!

Don Liddu raccontava a tutti le meraviglie dell'inglese nell'albergo. Aveva un materasso che si gonfiava come un otre, e due guanciali pure. Biancheria finissima; piatti, posate, bottiglie, bicchieri; tutto chiuso in una valigia. Mangiava come un lupo: un cappone, mezzo tacchino arrosto, e intrugli di minestre in brodo col vino; da selvaggio. E pepe a manate!… Ma pagava come un Dio, senza farselo dire due volte, senza neppure riguardare la nota. Avea voluto una caldaia, non vi essendo altro, per fare il bagno freddo la mattina, appena levato da letto. Vi saltava dentro nudo, vi sguazzava spandendosi l'acqua con le mani su la testa—don Liddu lo aveva osservato dal buco della serratura—e, appena asciugatosi, via come il vento, per la campagna: quattro, cinque miglia, quasi avesse il diavolo in corpo. Come non si buscava una polmonite? E turco, a dirittura! Nè segno di santa croce, nè messa le domeniche. E il Signore lo ha colmato di quattrini, mentre tanti poveri cristiani non hanno neppure un soldo per comprarsi un po' di pane!

—Mi farei turco anch'io, se fossi sicuro di buscarmi i quattrini che ha lui! Dico per dire,—concludeva don Liddu—giacchè con la salute dell'anima non si scherza.

Il notaio aveva condotto l'inglese in Casino, lo aveva presentato ai galantuomini più agiati, al Sindaco, all'Arciprete, all'Agente delle tasse, al Ricevitore, perchè così gli avea consigliato di fare l'amico che glielo aveva presentato con la lettera da cui era stato sbalordito quel giorno.

In casino, il dottor Medulla, fratello del canonico, tentava, con arte, di farlo parlare intorno ai progetti di coltivazione, per scoprire terreno, per vedere se doveva seguire il consiglio di suo fratello, di attendere fino all'ultimo prima di cedere la sua grillaia.

Ma l'inglese era stato parco, molto parco, nelle risposte.

—Non so ancora… È una mia idea, forse sbagliata. Chi non risica non rosica, come si dice in Italia… Si dice anche da noi. Vedremo.

Quel demonio d'inglese, però, sapeva tutto: i prezzi dei terreni, delle derrate, della mano d'opera; che cosa non sapeva?

E giocava a tarocchi da maestro; e al bigliardo aveva una destrezza! Serio serio, dinoccolato, pareva che sonnecchiasse, e teneva intanto gli occhi aperti.

Così, senza far rumore, si era comprato quasi un feudo per quattro soldi; e comperava ancora! Non gli erano bastati Tirantello e il Cucchiaio: l'appetito gli era venuto mangiando. E aveva preso anche i fondi accanto: mezzo Pennino e Santa Barbara, di là delle colline. E domani partiva per l'Inghilterra, quasi andasse a Brancaccio, cioè a quattro miglia da Settefonti, dov'era la rimessa della vettura postale, su lo stradone laggiù!

—Inglesi!—esclamava il sindaco.—Gente che sa fare e non sta mai con le mani in mano, come noialtri!

—E lei, che ha pure tanti quattrini, perchè non ha fatto e non fa?

—Perchè, caro Ricevitore… perchè… Non ne ragioniamo, è meglio!

III.

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Due mesi dopo lo avevano visto ricomparire fresco ed asciutto, quasi fosse ritornato da una gitarella di piacere; con dieci o dodici carrettate di cassoni misteriosi, portati dalla stazione di Valsavoia, e messi a dormire in un vasto locale della rimessa postale preso in affitto fino a che egli non avesse potuto provvedere altrimenti.

Di cima al Muraglione, i galantuomini del Casino andavano ad osservare, due, tre volte al giorno, i lavori delle squadre di uomini che laggiù abbattevano siepi di fichi d'India, ammonticchiavano sassi per costruire il gran muro di cinta lungo lo stradone, appianavano rialzi di terreno, sgombravano la linea, tracciata dall'ingegnere, che dal posto dove dovea sorgere il cancello saliva a zigzag fino alla casetta rurale dei Laureano già abbattuta dalle fondamenta per far luogo al Cottèg, come avevano sentito dire che sarebbe chiamata la villa.

E di lassù si distingueva benissimo l'inglese che andava qua e là, dando ordini, sotto l'ombrello cenericcio sempre aperto contro il sole, e sollecitava e dirigeva, instancabile. Poi, verso sera, gli vedevano riprendere la via del paese, cavalcando alla testa dei suoi uomini, al pari di un generale, com'era partito la mattina, all'alba, dopo averli rassegnati (erano quasi un centinaio) e averli disposti in squadre, secondo i diversi lavori a cui venivano addetti.

Gli uomini partivano cantando in coro, con gli strumenti del lavoro in ispalla, marciando alla soldatesca. E come i soldati pel loro capitano, si sarebbero fatti ammazzare per quel padrone che li pagava bene, puntualmente; che li ristorava con buone minestre, con ottimo vino; che li faceva riposare un paio d'ore, quando il sole saettava dal meriggio; non rifiutando mai una persona che gli si fosse presentata per chiedere lavoro; pagando il medico e le medicine, se qualcuno di loro si ammalava.

Nei primi mesi, i galantuomini sorridevano di compassione, crollavano la testa, pensando che la cosa era troppo bella da poter durare. Convenivano però che l'inglese si rivelava più furbo di quel che non sembrasse. Facendo a quel modo, otteneva che i contadini e gli operai lavorassero il doppio quasi senza accorgersi di lavorare. Infatti in meno di due mesi, le grillaie di Tirantello e del Cucchiaio erano quasi irriconoscibili; il muro di cinta, terminato; lo stradone serpeggiava fino a piè della collina; e si vedevano già i fossati delle fondamenta che tracciavano lo scheletro del Cottage.

—E poi?—domandava il canonico Medulla.

—Dice che vuol piantare un vigneto da una parte—rispondeva il sindaco—e un giardino di agrumi dall'altra.

—E l'acqua? D'onde la caverà l'acqua per inaffiare il giardino?

—Ha già fatto cominciare gli scavi. Intanto ha quella del mulino dal Cucchiaio.

—Due gocce! È pazzo da catena costui. Un giorno, abbandonerà baracca e burattini e scapperà coi debiti che ha fatto nelle Banche di Catania; lasciatevelo dire da me!

—Ma sono quattrini suoi quelli che prende dalle banche, quattrini depositati, messi a frutto.

—Fandonie!

—Costui ci darà una bella lezione, signor canonico!

—La lezione la riceverà lui, e di che sorta!

Andare ad affacciarsi dal Muraglione per osservare i lavori dell'inglese, laggiù, era diventato l'occupazione giornaliera dei galantuomini che ordinariamente ozieggiavano in Casino, dicendo male di questo e di quello, ammazzando il tempo con interminabili partite a tarocchi o al bigliardo, o sbadigliando seduti in circolo, su la terrazza che dominava il Largo della Matrice e quasi segregava il Casino dal contatto della gente radunata davanti a la chiesa, le domeniche; contadini la più parte. Le gite al Muraglione formavano un diversivo, davano pretesto a discussioni, a malignità anche; perchè quando noi vediamo fatto da altri quel che, con nostro profitto, avremmo potuto fare e non abbiamo voluto o saputo fare, l'attività altrui ci insinua nell'animo un rancore chiuso; ci sentiamo quasi frodati di quel che ci sarebbe stato facile possedere e che scorgiamo intanto in mano di uno che ci apparisce ora un intruso e fino a ieri compiangevamo o disprezzavamo come illuso o pazzo da legare.