Ciascuno a Suo Modo
Luigi Pirandello
© 2018 Mauro Liistro Editore
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eISBN: 9783964543905
La rappresentazione di questa commedia dovrebbe cominciare sulla strada o, più propriamente, sullo spiazzo davanti al teatro, con l'annunzio (gridato da due o tre strilloni) e la vendita d'un «Giornale della Sera» appositamente composto su un foglio volante, di modo che possa figurare come un'edizione straordinaria, sul quale a grossi caratteri e bene in vista, nel mezzo, fosse inserita questa indiscrezione in esemplare stile giornalistico:
IL SUICIDIO DELLO SCULTORE LA VELA E LO SPETTACOLO DI QUESTA SERA AL TEATRO…. (Il nome del Teatro)
Nel mondo del teatro s'è diffusa improvvisamente la notizia destinata a suscitare uno scandalo enorme. Pare che Pirandello abbia tratto l'argomento della sua nuova commedia Ciascuno a suo modo, che sarà rappresentata questa sera al Teatro…, dal suicidio drammaticissimo, avvenuto or qualche mese a Torino, del giovine compianto scultore Giacomo La Vela. Si ricorderà che il La Vela, sorpresa nel suo studio, in via Montevideo, la nota attrice, sua fidanzata, A. M. in intimi rapporti col barone N., invece d'avventarsi contro i due colpevoli, ritorse l'arma contro se stesso e s'uccise.
Sembra che il barone N. dovesse anche sposare una sorella del La Vela. L'impressione prodotta dal tragico avvenimento dura tuttora vivissima, non solo per la fama a cui era salito ancora così giovane il La Vela, ma anche per la posizione sociale e la notorietà degli altri due personaggi della tragedia. È molto probabile che se n'abbia qualche sgradevole ripercussione in teatro questa sera.
Non basta. Gli spettatori che entreranno nel teatro per comperare i biglietti, vedranno nei pressi del botteghino l'attrice di cui il giornale ha dato le iniziali A. M., cioè Amelia Moreno là in persona, fra tre signori in smoking che invano cercheranno di persuaderla a rinunziare al proposito d'entrare nel teatro ad assistere allo spettacolo; vorrebbero portarla via; la pregano d'esser buona e togliersi almeno dalla vista di tanti che potrebbero riconoscerla: il suo posto non è là; per carità, si lasci condurre via; vuol fare uno scandalo? Ma lei, pallida, convulsa, fa segno di no, di no; vuol restare, vedere la commedia, fin dov'è arrivata la tracotanza dello scrittore; si porta ai denti il fazzolettino e lo lacera; si fa notare e, appena se n'accorge, vorrebbe nascondersi o inveire; ripete continuamente ai suoi amici che vuole un palco in terza fila; si terrà indietro per non farsi vedere; vadano, vadano a comprare il biglietto; promette che non darà scandalo; che andrà via, se non potrà più reggere; un palco di terza fila; insomma, vogliono che vada lei a comprarlo?
Questa scena a soggetto, ma proprio come vera, dovrebbe cominciare qualche minuto prima dell'ora fissata per l'inizio dello spettacolo e durare, tra la sorpresa, la curiosità e fors'anche una certa apprensione degli spettatori veri che si dispongono a entrare, fino allo squillo dei campanelli nell'interno del teatro.
Intanto, contemporaneamente, gli spettatori già entrati, o che a mano a mano entreranno, troveranno nel ridotto del teatro, o nel corridoio davanti la ala, un'altra sorpresa, un altro motivo di curiosità e fors'anche d'apprensione in un'altra scena che farà colà il barone Nuti coi suoi amici.
«State tranquilli, state tranquilli: sono calmo, vedete? calmissimo. E v'assicuro che sarò più calmo, se voi ve n'andate. Attirate voi, con lo starmi così attorno, lo sguardo di tutti! Lasciatemi solo, e nessuno baderà più a me. Sono infine uno spettatore come gli altri. Che volete che faccia in teatro? So che lei verrà, se non è già venuta; la voglio rivedere, rivedere soltanto; ma sì, ma sì, da lontano; non voglio altro, rassicuratevi! Insomma, volete andarvene? Non mi fate dare spettacolo qua alla gente che viene a divertirsi alle mie spalle! Voglio restar solo, come debbo dirvelo? Calmo, sì, calmo: più calmo di così?»
E andrà avanti e indietro, col viso stravolto e il corpo tutt'un fremito, finché tutti gli spettatori non saranno entrati nella sala.
Tutto questo servirà a spiegare al pubblico perché sui manifesti di questa sera la Direzione del teatro ha stimato prudente fare apporre il seguente:
Nota bene. Non è possibile precisare il numero degli atti di questa commedia, se saranno due o tre, per i probabili incidenti che forse ne impediranno l'intera rappresentazione.
Fissati nella commedia sul palcoscenico:
Delia Morello - Michele Rocca - la vecchia signora Donna Livia Palegari e i suoi invitati, le sue amiche e i vecchi amici di casa - Doro Palegari, suo figlio, e Diego Cinci, suo giovane amico - Il vecchio cameriere di casa Palegari, Filippo - Francesco Savio, il contradditore, e il suo amico Prestino, altri amici, il maestro di scherma e un cameriere.
Momentanei nel ridotto del teatro:
La Moreno (che tutti sanno chi è) - Il barone Nuti - Il capocomico - attori e attrici - Il direttore DEL teatro - l'amministratore della compagnia - usceri del teatro - carabinieri - Cinque critici drammatici - un vecchio autore fallito - un giovane autore - un letterato che sdegna di scrivere - lo spettatore pacifico - lo spettatore irritato - Qualcuno favorevole - Molti contrari - lo spettatore mondano - Altri spettatori, signori e signore.
Siamo nell’antico palazzo della nobile signora Donna Livia Palegari, nell’ora del ricevimento, che sta per finire. Si vedrà in fondo, attraverso tre arcate e due colonne, un ricchissimo salone molto illuminato e con molti invitati, signori e signore. Sul davanti, meno illuminato, vedremo un salotto, piuttosto cupo, tutto damascato, adorno di pregiatissime tele, la maggior parte di soggetto sacro; cosicché ci sembrerà di trovarci nella cappella d'una chiesa, di cui quel salone in fondo, oltre le colonne, sia la navata: cappella sacra d’una chiesa profana. Questo salotto avrà appena una panca e qualche scranna per comodità di chi voglia ammirar le tele alle pareti. Nessun uscio. Ci verranno dal salone alcuni degli invitati, a due, a tre alla volta, per farsi, appartati, qualche confidenza; e, al levarsi della tela, ci troveremo un Vecchio Amico di casa e un Giovine sottile, che discorreranno tra loro.
IL GIOVINE SOTTILE: (con un capino straziato, d’uccello pelato) Ma che ne pensa lei?
IL VECCHIO: (bello, autorevole, ma anche un po’ malizioso, sospirando) Che ne penso!
Pausa.
Non saprei.
Pausa.
Che cosa ne dicono gli altri?
IL GIOVINE SOTTILE: Mah! Chi una cosa e chi un’altra.
IL VECCHIO: S’intende! Ciascuno ha le sue opinioni.
IL GIOVINE SOTTILE: Ma nessuno, per dir la verità, par che ci s’attenga sicuro, se tutti come lei, prima di manifestarle, vogliono sapere che cosa ne dicono gli altri.
IL VECCHIO: Io alle mie mi attengo sicurissimo; ma certo la prudenza, non volendo parlare a caso, mi consiglia di conoscere se gli altri sanno qualche cosa che io non so e che potrebbe in parte modificare la mia opinione.
IL GIOVINE SOTTILE: Ma per quello che ne sa?
IL VECCHIO: Caro amico, non si sa mai tutto!
IL GIOVINE SOTTILE: E allora, le opinioni?
IL VECCHIO: Oh Dio mio, mi tengo la mia ma – ecco – fino a prova contraria!
IL GIOVINE SOTTILE: No, mi scusi; con l’ammettere che non si sa mai tutto, lei già presuppone che ci siano codeste prove contrarie.
IL VECCHIO: (lo guarderà un po’, riflettendo, sorriderà e domanderà): E con questo lei vorrebbe concludere che non ho nessuna opinione?
IL GIOVINE SOTTILE: Perché a stare a quello che dice, nessuno potrebbe mai averne!
IL VECCHIO: E non le sembra già questa un’opinione?
IL GIOVINE SOTTILE: Sì, ma negativa!
IL VECCHIO: Meglio che niente, eh! meglio che niente, amico mio!
Lo prenderà sotto il braccio e s’avvierà con lui per rientrare nel salone in fondo.
Pausa. Nel salone si vedranno alcune signorine offrire il tè e le paste agli invitati. Entreranno guardinghe due Giovani Signore.
LA PRIMA (con foga ansiosa). Mi ridai la vita! Mi ridai la vita! Dimmi! dimmi!
L'ALTRA: Ma non è niente più che una mia impressione, bada!
LA PRIMA: Se l’hai avuta, è segno che qualcosa di vero dev’esserci! – Era pallido? Sorrideva triste?
L'ALTRA: Mi parve così.
LA PRIMA: Non dovevo lasciarlo partire. Ah, il cuore me lo diceva! Gli tenni la mano fino alla porta. Era già lontano d’un passo fuori della porta e ancora gli tenevo la mano. Ci eravamo baciati, lasciati, ed esse no, le nostre mani non si volevano staccare. Rientrando, caddi, come rotta dal pianto. – Ma dimmi un po’, dimmi: nessuna allusione?
L'ALTRA: Allusione a che?
LA PRIMA: No, dico, se – così, parlando in generale – come tante volte si fa…
L’ALTRA: No, non parlava: stava ad ascoltare ciò che si dicevano gli altri.
LA PRIMA: Eh, perché lui lo sa! Lo sa quanto male ci facciamo per questo maledetto bisogno di parlare. Finché dentro di noi c’è un’incertezza, si dovrebbe stare con le labbra cucite. Si parla; non sappiamo neanche noi quello che diciamo... Ma era triste? Sorrideva triste? Non ricordi che cosa dicessero gli altri?
L’ALTRA: Ah, non ricordo. Non vorrei, cara, che ti facessi qualche illusione. Sai com’è? Ci s’inganna. Era forse indifferente e mi parve che sorridesse triste. Aspetta, sì: quando uno disse –
LA PRIMA: che disse?
L’ALTRA: una frase: aspetta... «Le donne, come i sogni, non sono mai come tu le vorresti».
LA PRIMA: Non la disse lui, questa frase?
L’ALTRA: No, no.
LA PRIMA: Ah Dio mio! – Intanto, non so se sbaglio o non sbaglio. Io che mi sono vantata d’aver fatto in ogni occasione a mio modo! – Sono buona, ma posso diventar cattiva; e allora guaj a lui!
L’ALTRA: Vorrei, cara, che tu non rinunciassi a essere come sei.
LA PRIMA: E come sono? Non lo so più! Ti giuro che non lo so più! Tutto mobile, labile, senza peso. Mi volto di qua, di là, rido; m’apparto in un angolo per piangere. Che smania! Che angoscia! E continuamente mi nascondo la faccia, davanti a me stessa, tanto mi vergogno a vedermi cambiare!
Sopravvengono a questo punto altri invitati: due giovanotti annojati, molto eleganti e Diego Cinci.
IL PRIMO: Disturbiamo?
L’ALTRA: No no: tutt’altro. Venite avanti.
IL SECONDO: Questa è la cappella delle confessioni.
DIEGO: Già. Donna Livia dovrebbe tenere qua a disposizione dei suoi invitati un prete e un confessionale.
IL PRIMO: Ma che confessionale! La coscienza! La coscienza!
DIEGO: Sì, bravo! E che te ne fai?
IL PRIMO: Come? Della coscienza?
IL SECONDO: (con solennità) «Mea mihi conscientia pluris est quam hominum sermo».
L’ALTRA: Come come? Lei parla in latino?
IL SECONDO: Cicerone, signora. Me ne ricordo ancora dal liceo.
LA PRIMA: E che significa?
IL SECONDO: (c. s.) «Fo più conto della testimonianza della mia coscienza, che dei discorsi di tutto il mondo».
IL PRIMO: Modestamente ognuno di noi dice: «Ho la mia coscienza e mi basta».
DIEGO: Se fossimo soli.
IL SECONDO: (stordito) Che vuol dire, se fossimo soli?
DIEGO: Che ci basterebbe. Ma allora non ci sarebbe più neanche la coscienza. Purtroppo, cari miei, ci sono io e ci siete voi. Purtroppo!
LA PRIMA: Dice purtroppo?
L’ALTRA: Non è gentile!
DIEGO: Ma perché dobbiamo fare i conti con gli altri, sempre, signore mie!
IL SECONDO: Ma nient’affatto! Quando ho la mia coscienza!
DIEGO: E non vuoi capire che la tua coscienza significa appunto «gli altri dentro di te»?
IL PRIMO: I soliti paradossi!
DIEGO: Ma che paradossi!
Al Secondo: