Umschlag

Friedrich Ani scrittore tedesco di origini siriane nasce nel 1959 a Kochel (Baviera) e vive a Monaco. Autore di numerosi romanzi, oggi è considerato uno dei migliori giallisti tedeschi. Pluripremiato, ha ricevuto il Premio Tucano della città di Monaco per il libro migliore dell’anno 2006 e è l’unico autore ad aver vinto quattro volte il Deutscher Krimi Preis, il più prestigioso premio tedesco per i gialli d’autore. Un maestro per molti giallisti italiani.

Questo libro è un’opera di fantasia. I nomi, i personaggi e gli eventi descritti sono frutto dell’immaginazione dell’autore. Qualsiasi somiglianza con persone viventi o defunte, luoghi o fatti reali è puramente casuale.

Titolo originale: Süden und das heimliche Leben
© 2012 Knaur Taschenbuch
Ein Unternehmen der Droemerschen Verlagsanstalt Th. Knaur Nachf. GmbH & Co. KG, München
© 2016 Emons Verlag GmbH
Tutti i diritti riservati.
Italian edition by arrangement with Il Caduceo Agenzia Letteraria
Traduzione dal tedesco: Emilia Benghi
Redazione: Federico Castelli Gattinara
Impaginazione: César Satz & Grafik GmbH, Colonia
Elaborazione ebook: CPI Books GmbH, Leck
ISBN 978-3-96041-034-8
Distribuito da Emons Italia S.r.l.
Via Dezza 11a – Roma
www.emonsedizioni.it

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FRIEDRICH ANI

SÜDEN E LA VITA SEGRETA

Traduzione di
Emilia Benghi

“Ciao, dove sei?”

“Vicino al Polo Sud

da qualche parte in Africa.”

Personaggi principali:

Tabor Süden – ex poliziotto, ora detective privato presso l’agenzia Liebergesell

Edith Liebergesell – titolare dell’agenzia investigativa Liebergesell

Charlotte Nickl – detta Charly, moglie di Dieter Nickl

Dieter (Dida) Nickl – oste della locanda Charly’s Tante

Ilka Senner – cameriera scomparsa della locanda Charly’s Tante

Paula Senner – sorella di Ilka, commessa in una boutique

Birgit Hesse – commissaria di polizia

Bertold Zeisig – detto Zeiserl, prestigiatore, ex compagno di scuola di Ilka Senner

Gregor Polder – detto Aki, autore di romanzi western, ex compagno di scuola di Ilka Senner

Margit Grosshaupt – parrucchiera, amica di Ilka Senner

Georg Mohn – imprenditore edile, ex fidanzato di Ilka Senner

Martin Heuer – collega di Süden, morto suicida

1

La pioggia tamburellava sui tavoli da giardino davanti alla porta aperta. Suonavano le campane. Domenica mattina. Tabor Süden era seduto in una locanda da un’ora, senza capire perché. Né i cinque uomini al suo tavolo, né la donna dietro il bancone avevano contribuito peraltro a dare un senso alla sua presenza lì. La titolare dell’agenzia gli aveva conferito l’incarico il giorno prima e lui, sobrio per giunta, aveva acconsentito a organizzare un incontro già l’indomani.

L’indomani era diventato oggi prima di quanto si fosse aspettato. E, dal risveglio in poi, non solo ce l’aveva con se stesso per aver fissato un appuntamento di lavoro proprio nel suo giorno libero. Non solo era esasperato dai monologhi confusi che doveva sorbirsi. Ancor più lo infastidiva la vista della caraffa di caffè e della tazza che aveva di fronte, nemmeno fossero gli strumenti di un dio crudele. La sensazione che provava a stare in una locanda chiamata Charly’s Tante senza bere birra gli ricordava quando, da chierichetto, immaginava di doversi genuflettere davanti all’altare in mutande e canottiera.

L’ostessa, con la chioma bionda raccolta in un bizzarro chignon a cipolla che, probabilmente per via dell’astinenza, gli sembrava la cupola di un campanile sbilenco, più volte gli aveva chiesto se gradisse una birra chiara, o di frumento, come gli altri uomini. Ogni volta Süden scuoteva il capo. E si chiedeva perché.

In preda a quale accesso di etica professionale si costringeva a bere un caffè che gli rovinava prima lo stomaco e poi l’intestino e altrove probabilmente veniva impiegato per debellare l’Escherichia coli? Non aveva neppure tirato fuori di tasca il suo notes a quadretti. Gran parte di quanto aveva appreso fin lì a quel tavolo sulla scomparsa di Ilka Senner, quarantasei anni, cameriera, era già agli atti della polizia. Il resto per Süden era il solito rullar di tamburi di testimoni usciti dalla savana della fantasia per dire la loro, convinti di svelare chissà quali segreti e verità.

Dodici anni di servizio presso l’Ufficio persone scomparse della Criminalpol e quattro alla Omicidi gli avevano insegnato l’arte dell’ascolto semplice, dell’ascolto finto e di quello al quadrato. Sapeva distinguere le menzogne dalle invenzioni, il piagnisteo dal dolore, capiva subito se provavano a intortarlo.

“È pallido,” notò Charlotte Nickl, detta Charly, la moglie dell’oste. “Vuole un grappino?”

“Una birra,” rispose Süden, un attimo prima dell’ennesimo cenno di diniego.

“Bene.” La cupola del campanile oscillò avanti e indietro e l’ostessa si diresse al bancone.

I cinque uomini tornarono a fissarlo. In pratica non gli avevano mai staccato gli occhi di dosso, quasi fosse uno specchio gigante e loro dei ballerini in sala prove. Ma Süden non rifletteva altro che pura perplessità e i cinque la pura legge di gravità dei loro corpi. Forse, pensò, avrebbe dovuto mettersi fuori dalla porta, sotto il tendone verde, respirare l’aria fresca e pensare a una donna, o almeno a un altro locale. Forse quel giorno, semplicemente, tra lui e quella gente non c’era sintonia. La distanza, aveva letto da qualche parte, è l’anima del bello.

“Alla salute!” Le parole caddero come grandine sui suoi pensieri. Charlotte Nickl gli mise davanti una birra sfavillante di luce e sorrise, come avrebbe sorriso Gesù se la crocifissione fosse stata annullata. Sembrava sollevata. Lo era anche lui.

“Buon pro ci faccia,” disse e levò il boccale. Tutti alzarono i loro. L’ostessa si affrettò al bancone e prese il suo vino bianco col selz. Tutti bevvero e posarono i bicchieri, solo Charlotte tenne il suo in mano. Süden si passò la lingua sulle labbra e alzò la testa. Dodici occhi lo attorniavano, come apostoli con la sigaretta in bocca.

Non sapeva cosa dire, quindi allargò le braccia appoggiandosi allo schienale, annuì come era ben esercitato a fare, intrecciò le mani in grembo, tacque per un po’ e tornò a protendersi sul tavolo, pancia permettendo.

La pioggia continuava a scrosciare sugli arredi da giardino e sull’asfalto, accompagnata dal cinguettio estivo degli uccelli. Il detective parve avvertire l’esultanza del suo corpo mentre la birra entrava in circolo.

Attimi infiniti di attesa.

“Adesso vado a pisciare e poi facciamo chiarezza, intesi?” esordì finalmente Dieter Nickl, per tutti Dida.

Süden estrasse dalla tasca il blocco a spirale e la biro. Fare chiarezza, voleva proprio segnarselo, pensò, tanto più che la proposta veniva da uno che la domenica mattina alle undici era già alla quarta birra e fino a quel momento aveva fatto una tal confusione con le parole che, al confronto, il miscuglio di lingue di Babele doveva risultare cristallino come la prosa di Hemingway.

“Eccomi qui.” Nickl si sedette di fronte a lui, come prima, strofinandosi le mani. Forse, pensò Süden, al cesso se le era lavate, come Pilato. “Ascolta, sono diciotto anni che Ilka è da me…”

Davvero una novità, come se un messaggero madido di sudore gli avesse sussurrato all’orecchio che il papa è cattolico.

“Diciotto anni sono un’eternità, capisci? Scusa, ti do del tu, va bene?”

“Certo.”

“Mi chiamo Dida.”

Nuova rivelazione del messaggero: nel quadro, Gesù è quello con le stimmate.

“Quindi è totalmente escluso che Ilka se la sia svignata. È impensabile. Lo capisce, lo capisci cosa voglio dire, da uomo, da amico, da oste? A Ilka è successo qualcosa, qualcosa di brutto, bisogna scoprire cosa. E alla svelta. E tocca a te.”

“Non sono un poliziotto,” spiegò Süden. Una verità trasparente quanto un bicchiere di birra vuoto.

“Lo so bene,” gli ruggì in viso Nickl.

“Stai calmo, Dida,” intervenne Claus Viebel, seduto sulla panca accanto a Süden. “Il detective ha capito.” Poi, rivolto a Süden, aggiunse: “Ha capito cosa pensa Dida, no? Pensa che Ilka sia stata assassinata, oppure rapita, chissà. La polizia è venuta qui, ci ha interrogati tutti, anche i familiari, ha fatto i rilievi, pare. Dicono…”

“Dicono…” proseguì Nickl puntando verso Süden l’indice teso, mentre Viebel chiudeva pian piano la bocca, “che Ilka è adulta, ha quarantasei anni, quindi sa quello che fa. È questo il problema dal loro punto di vista. Lei può fare quello che vuole. Indizi concreti di reato… non ce ne sono. Metti che tu sparisci all’improvviso…” Süden immaginò che intendesse l’amico seduto accanto, che si chiamava Johann Baumann, se non andava errato.

“Metti che siamo qui come sempre e tu non ti fai vedere. Neppure il giorno dopo. Beh, per la polizia sei un uomo adulto, quanti anni hai di preciso Johann?”

“Sessantacinque compiuti,” rispose l’amico in un tono non proprio da Inno alla Gioia.

“Perfetto. Che più adulto non si può. E allora?”

Ma di che sta parlando? pensò Süden fissando il bicchiere vuoto davanti a sé, senza però osare rivolgere uno sguardo assetato al bancone proprio nel momento più appassionante del monologo.

“E allora,” riprese Nickl senza guardare il suo vicino. “Allora niente. Magari sei in fondo a un pozzo nero a Unterzeismering…”

“Che pozzo?” chiese Viebel.

“Cosa?”

“Non sono mai stato a Unterzeismering,” precisò Johann Baumann. A parte Nickl era l’unico dei presenti che bevesse birra chiara. Ne mandò giù un sorso con lo sguardo fisso davanti a sé. Süden si augurò che non si vedesse cadavere in fondo a un pozzo nero, almeno non nel giorno del Signore.

“Fa lo stesso,” proseguì Nickl. “Parlo in generale di com’è la polizia. Scomparso significa che nessuno ti cerca. Un bambino lo cercherebbero, chiaro, ma te proprio no e me neppure. E Ilka neanche. E nemmeno te cercherebbero, Süden, almeno non la polizia. Una volta a Helsinki non trovavo più Charly, ero preoccupato, ti ricordi, Charly?”

La donna al bancone smise di lucidare i bicchieri. Da venti minuti non faceva altro, immersa in pensieri di cui Süden forse avrebbe dovuto essere messo al corrente. Magari però l’aria filosofica era solo effetto del vino bianco.

“Mi ascolti?” Nickl si sporse sul tavolo. Un fiato interessante aleggiò attorno al detective. “È per questo che ti abbiamo ingaggiato. Perché tu trovi Ilka.”

Infine il messaggero gli sussurrò: e nell’ultimo giorno avviene la resurrezione.

“Bisogna ritrovare Ilka,” disse uno che doveva chiamarsi Olaf Schütze. “Per questo abbiamo fatto la colletta, per poterci permettere un detective in gamba. Tutti noi, qui. Dida, Claus, Werner, Johann e naturalmente anche Charly. Mille euro. Non è molto, ma lei qualcosa scoprirà. La signora Liebergesell ci ha assicurato che lei ha fiuto e che è incorruttibile.”

“In senso figurato,” disse Nickl e, dando a Süden una pacca sulla spalla, si voltò verso il bancone. “Porta al nostro incorruttibile detective un’altra chiara e un grappino per tutti. Poi aggiunse rivolto a lui: “Questa si chiama solidarietà. Tu sei il nostro segugio, con te ritroviamo Ilka. Mille euro. Contratto, tutto regolare. Ce l’hai con te?”

“Sì,” rispose Süden. Il grappino, pensò. Doveva iniziare a prendere appunti, soprattutto a segnarsi i nomi.

“Che inferno quella volta a Helsinki,” disse Nickl. “A un tratto Charly è sparita nel nulla. Ho pensato che se la fosse mangiata un alce, là li trovi per strada. Ne vedo uno e non vedo più Charly…”

Continuò a raccontare finché Charlotte non arrivò con altri bicchieri. Quando tutti ebbero bevuto il loro grappino riprese a parlare. Süden non prese appunti.

Secondo Claus Viebel, quarantatré anni, vetraio, Ilka Senner a volte “era fra le nuvole”. Viebel, a suo dire un tempo “attivo nel campo delle vetrate strutturali” e ora “approdato alle costruzioni in vetro ma temporaneamente senza incarichi”, descrisse la cameriera come una persona soggetta a sbalzi d’umore, che “verso l’ora di chiusura” tendeva alla malinconia.

“Ma cosa dici,” intervenne Olaf Schütze. Viebel non lo lasciò parlare.

“Ilka ha due facce, solo che da sbronzo non ci fai caso. Ilka, signor Süden, non è facile capirla. È complicata, lavora qui da un secolo e la vedo quasi tutti i giorni, ma penso che nasconda qualcosa, mi segue?”

“Dagli del tu.” La voce dell’oste sprofondò nel bicchiere di birra. Sembrava che raramente guardasse in faccia il suo interlocutore. A meno che non gli fosse seduto proprio di fronte, come Süden.

“Gli do del lei per educazione.” Viebel si grattò i baffi col mignolo, lo faceva ogni dieci minuti. Con quei mustacchi e i basettoni sembrava fosse stato ibernato negli anni Settanta del secolo scorso e scongelato l’altro ieri. Ma in quell’epoca non era ancora nato. Si accese una sigaretta rollata a mano e posò l’accendino sulla busta accartocciata del tabacco. “Quello che voglio dire, signor Süden, è che se gli altri pensano che possa esserle accaduta una disgrazia, secondo me può darsi che sia successo qualcos’altro. Che qualcosa sia andato in frantumi dentro di lei.”

“Speriamo che non sia tu ad andare in frantumi, mastro vetraio,” disse Johann Baumann, pensionato sessantacinquenne che aveva trascorso la vita, parole sue, “nella vetrina della nostra bella città” come funzionario dell’Agenzia delle entrate di Monaco.

“Non sono un mastro vetraio.” Viebel si voltò verso Süden. Il detective era seduto a un capo del tavolo rettangolare, quello posteriore, Viebel e Schütze alla sua sinistra, Ring e Baumann alla sua destra, l’oste al capo opposto. “Non sono fatto per dirigere un’azienda. È una scelta. Il mio capo di prima, Hohensteiger, era capace di gestire dieci persone contemporaneamente, o meglio di comandarle a bacchetta, e aveva tutto sotto controllo. Vetrate Hohensteiger…”

“Dentro Ilka si è rotto qualcosa,” ripeté Süden. Se la sua impazienza fosse stata un bulldog inferocito nessuna gabbia lo avrebbe fermato, avrebbe sbranato il vetraio Viebel, l’esattore Baumann, il portinaio Ring, l’edicolante Olaf Schütze e infine l’oste Nickl, prima di affondare le zanne lorde di sangue nella cipolla dell’ostessa, per darle un’ultima chance di parlare.

Invece se ne stava seduto al tavolo, una furia dal volto umano.

“Era ed è la mia impressione.” Il dito mignolo di Viebel andava frugando i baffi. “Quella donna ha un destino che le pesa.”

Forse, pensò il detective, l’ex esattore delle tasse aveva ragione. Forse in quel momento, in silenzio, nel cervello di Viebel gli ultimi oblò andavano in pezzi.

“Quella donna ha un destino che le pesa,” ripeté Süden. “Saprebbe essere più preciso? Cosa avrebbe potuto spingere Ilka a togliersi la vita?”

“Non ho detto questo.” Viebel alzò l’indice, orlato di nero come le altre dita. “Non ho detto che si è suicidata. Non si dice una cosa del genere senza avere delle prove.”

“E tu non ne hai,” confermò Ring, che gli sedeva di fronte dall’altro lato del tavolo. “Quindi chiudi il becco, beviti la birra, fuma il tuo tabacco mefitico e non scocciare.”

“Io non scoccio nessuno.”

“Scocci me,” disse Ring.

“Anche me,” evitò di aggiungere Süden. “Ilka le dava l’idea di essere depressa,” commentò invece.

“Macché depressa,” intervenne Nickl a voce alta, troppo alta rispetto a quella assopita degli ultimi minuti. L’oste fu scosso da una tosse furiosa. Gli occhi arrossati parvero incendiarsi. Il braccio che si portò davanti al viso arrivò troppo tardi. Dall’ampio torace di Nickl un fiotto d’aria carica di batteri sprizzò senza ostacoli oltre il tavolo e solo la forza di una smisurata educazione impedì a Süden di rannicchiarsi per evitarlo.

Charlotte Nickl lanciò uno sguardo preoccupato alla tavolata, senza però scomporsi più di tanto. Gli altri quattro uomini bevvero in perfetta sincronia la loro birra svuotando i bicchieri in contemporanea. Subito Charlotte si mise all’opera alla spina. Quando portò al tavolo i boccali pieni Nickl era ancora scosso dagli ultimi colpi di tosse per i quali il braccio non gli serviva. Rilassato, si dedicò alla birra.

“Alla salute, amici!” esclamò Charlotte.

Merci, Charly,” disse Werner Ring, il portinaio cinquantasettenne con delle braccia che, pensò Süden, in una vita precedente dovevano essere state delle cosce. Ring indossava una maglietta nera a maniche corte sotto un giubbotto jeans e all’orecchio sinistro portava un orecchino d’argento. Il cranio calvo era lucido di sudore, al contempo emanava un profumo fresco di dopobarba. La voce era quasi dolce e gli occhi azzurri irradiavano una serenità benevola. Per lo più teneva le mani intrecciate sul tavolo, di quando in quando la bocca s’increspava in un sorriso timido. “Bada Claus,” incominciò, ma subito si interruppe e fissò Viebel. “Non mettere in giro strane voci su Ilka, okay? Parli di depressione, ma lo sai almeno cos’è? Dici che Ilka è malata, e io ti dico che non è malata, e adesso sta’ un po’ zitto, okay?”

“L’ha detto lui che è depressa.” Viebel indicò Süden. “Io non ho detto nulla.”

“Tu hai detto che è svitata,” esclamò Baumann.

“Non l’ha detto,” gridò Charlotte dal bancone.

“E tu non apri bocca?” L’oste lanciò al detective l’occhiata fulminante allenata in migliaia di chiusure del locale.

Süden fece scorrere sui presenti lo sguardo rilassato allenato in centinaia di interrogatori.

“Finora non mi avete detto nulla che non abbiate già raccontato alla polizia. E a loro avete spiegato che non avete la minima idea di dove possa essere finita Ilka. Sono qui per sapere qualcosa di nuovo.”

“Ma è tutto nuovo!” esclamò Viebel. La sua voce ora mostrava chiaramente delle crepe. “Quando dico che Ilka era strana, voglio dire che dentro di lei c’era qualcosa che non voleva far vedere. Proprio così. Cercava di sbrigarsela da sola. Il motivo non si sa, e questo è nuovo, signor Süden, alla polizia non lo abbiamo detto.”

“Ilka ha ricevuto visite di recente?” Süden notò che anche gli sguardi degli altri iniziavano a offuscarsi. “Ha fatto strane telefonate? È arrivata tardi al lavoro, è andata a casa prima del solito?”

L’occhiata che lanciò a Charlotte nella speranza che, da donna, ne sapesse di più, fu catturata a mezza via dagli sguardi degli uomini affondando nell’Ade della loro insipienza.

“Non serve che guardi Charly,” osservò Nickl. “Con Ilka praticamente non parlava mai, né Ilka con lei. Cosa ti paghiamo a fare mille euro se non scopri niente. Vuol dire buttare via i soldi, a questo punto ce li riprendiamo.”

“Non dire sciocchezze, Dida.” Charly venne al tavolo e restò in piedi accanto al marito. “Sono preoccupata come tutti voi, il resto ora non conta.”

“Il resto? Che vuol dire?” chiese Süden.

“Le altre cose,” disse Nickl dentro il suo bicchiere.

“E le altre cose non hanno nulla a che fare con la sparizione della tua cameriera?”

“No.”

Süden tacque.

Nel giro di otto secondi gli uomini e Charlotte lo fissarono come se non avessero mai visto un uomo in silenzio.

Lui rilassò la schiena e incrociò le braccia.

Quella gente e in un certo senso anche la sua capa l’avevano costretto a mandar giù tre birre e una grappa a stomaco vuoto e poi gli avevano propinato cose che non gli piacevano. Ora veniva a conoscenza di fatti che apparentemente avevano avuto un ruolo importante in passato, ma ormai non contavano più. Era brillo e innervosito. Nel suo stomaco birra e caffè si prendevano a male parole, i pensieri gli si affollavano in testa come in un labirinto trasparente. Fuori la pioggia tamburellava sui tavoli, un vento fresco entrava dalla porta spalancata ma faceva subito dietrofront per il gran fumo. Sulla Perlacher Strasse i bus di linea passavano a intervalli regolari.

Süden si alzò in piedi, spingendosi a fatica oltre il bordo del tavolo. “Ho bisogno di una boccata d’aria,” spiegò.

“Pericoloso,” disse Viebel.

“Charlotte, raccontagli del tizio che stava fuori,” la esortò Ring. “Di notte, lo sai.”

“Quale tizio?” chiese Nickl.

La moglie prese in mano i bicchieri vuoti. “Un matto che era lì per Ilka ma non ha osato entrare, lei lo ha mandato via.”

“Ne avete parlato alla polizia?” domandò Süden.

“E a che sarebbe servito? Non c’entra nulla, non è successo niente.”

“Quel tizio molestava Ilka, lo ha ammesso lei, anche di fronte a Charly. Era imbarazzata. ‘Ci parlo io con quello,’ le ho detto, ma Ilka non ha voluto,” raccontò Ring al detective.

“Aha,” disse Nickl.

Sotto il tendone Süden gettò il capo all’indietro e chiuse gli occhi. Nemmeno un minuto dopo Charlotte gli fu accanto. Fumava, mentre con la sinistra reggeva un posacenere bianco di plastica.

“È così, signor Süden.” Parlava a voce bassa, incerta. “Non mi va più di stare qui e nemmeno a mio marito. I miei genitori hanno una casa a Bad Endorf, possiamo trasferirci là quando vogliamo. E lo faremo. Abbiamo già parlato con il birrificio e le cose stanno così: loro manterrebbero volentieri aperto il locale, se trovassimo qualcuno disposto a rilevarlo. Allora tutti e due abbiamo pensato a Ilka. È con noi da diciotto anni e quando eravamo in ferie ha gestito lei il locale, senza problemi. È in gamba, ci sa fare con i clienti, con gli uomini, è nata per questo lavoro, l’ho sempre pensato. Glielo abbiamo proposto e sa cosa? Inizialmente era felicissima, poi si è fatta pensierosa, continuava a dire che doveva rifletterci bene, le responsabilità, l’amministrazione. In realtà non c’è molto lavoro d’ufficio, si impara subito, non avrebbe avuto problemi. Aveva un futuro assicurato. E proprio in quel momento è sparita senza lasciare traccia. Qualcosa non torna. Qualcosa è successo e non è nulla di buono.”

“Lo sconosciuto potrebbe entrarci in qualche modo?”

“Non lo so. Si è visto un paio di volte, succede che la notte girino tipi strani. Ho avuto l’impressione che lei lo conoscesse, ma non ci giurerei. Perché se n’è andata? Proprio ora che avrebbe avuto un’attività tutta sua? È assurdo.”

La moglie dell’oste spense la sigaretta nel posacenere. “Deve promettermi che ci riporterà Ilka sana e salva. Me lo promette?”

2

Ilka Senner era sparita il primo giugno, di mercoledì, come riportava la circolare della Criminalpol. Charlotte e Dieter Nickl, a nome dei clienti fissi del locale, avevano denunciato alle autorità la scomparsa della quarantaseienne. Fino a due giorni prima Ilka aveva lavorato nella locanda Charly’s Tante, in Perlacher Strasse 100. Il martedì, giorno di riposo del locale, aveva parlato al telefono con la sua amica Margit Grosshaupt, quindi aveva spento il cellulare e non lo aveva più riacceso. L’apparecchio era sul tavolo di cucina del suo appartamento, le stanze in ordine, come spiegò la commissaria capo Birgit Hesse a Süden. Nessun segno di effrazione. La valigia al suo posto nell’armadio della camera da letto, i cassetti pieni di biancheria, i cosmetici in bagno e le scarpe estive allineate in corridoio secondo Hesse non facevano pensare che l’affittuaria si fosse allontanata per un lungo periodo.

“Abbiamo sentito i vicini,” gli aveva comunicato la commissaria il lunedì, dopo che il detective era tornato a uno stato d’animo più o meno equilibrato. “Non sanno nulla. Niente dei progetti di Ilka, niente di un conoscente o un fidanzato, niente delle sue abitudini, sanno al massimo che, come molti dei residenti attorno alla Spitzingplatz, faceva sempre la spesa da Tengelmann. Ho parlato col direttore del supermercato e con una cassiera, conoscono la donna di vista, niente di più. Come spesso accade.”

Come spesso accade. Lo aveva pensato anche Süden quella domenica, tornando al tavolo con gli altri dopo la tentata boccata d’aria, affumicata da Charlotte Nickl. Come spesso accade nei casi di sparizione i testimoni, i parenti e i conoscenti erano preda inconsapevole di una grande smemoratezza. In perfetta buona fede addobbavano i loro presunti ricordi con ghirlande di fantasia e fulgide riflessioni, e scambiavano il segugio che li ascoltava per un babbo natale da cui attendersi un regalo meraviglioso: la persona cercata, in tutto il suo splendore.

Ma i miracoli nelle indagini erano rari. In realtà non accadevano mai, stando alla sua esperienza. A volte qualche scomparso tornava di sua spontanea volontà, esausto dell’insensata solitudine. A volte un tentativo di suicidio andava a vuoto. A volte il bambino sparito era semplicemente rimasto a giocare col trenino nel seminterrato dei vicini. A volte gli atti rimanevano solo sulla carta. Per lo più però era tutto un orrore.

“Adesso ufficializziamo,” disse Dieter Nickl puntando l’indice e il medio contro il suo dirimpettaio all’altro capo del tavolo. “Ti diamo i soldi, firmiamo il contratto, cerimonia finita. Dammi qua.”

“Aspetta, un’altra cosa,” aggiunse Johann Baumann. Süden drizzò le orecchie, un riflesso che immediatamente giudicò ridicolo. Aspettarsi un’altra cosa in quel luogo era come se un paparazzo sperasse di scattare una foto del papa nudo. “Come si diventa detective? Si guadagna bene? È un vero lavoro?”

“Assolutamente,” annuì. In silenzio tirò fuori dalla tasca interna del giubbotto di pelle una busta con due copie del contratto e la diede a Ring perché la passasse all’oste, oltre Baumann.

“Sei un dipendente?”

“Sì.”

“Ci campi con questo lavoro?”

“Sì.”

“Da sempre?”

“Prima ero commissario capo dell’Ufficio persone scomparse della Criminalpol,” rispose.

“L’ufficio persone scomparse della Criminalpol.” Süden doveva essersi perso la trasformazione dello scheletrico esattore nella ninfa Eco. “Quindi eri uno statale con diritto alla pensione eccetera.”

“Assolutamente.”

“E hai smesso, o cosa?” domandò Claus Viebel, lo sguardo ormai velato, e forse per questo convertitosi da buon ultimo al tu.

“Avevo i miei motivi.”

“Quali?” chiese Baumann.

Süden tacque.

“Dai spara.” Viebel gli diede una pacca col dorso della mano sull’avambraccio.

Nel frattempo Nickl studiava il contratto. “Penna!” gridò, senza voltarsi verso sua moglie. Charlotte gli portò una biro. “Sessantacinque euro l’ora è una bella somma. Ma so che altri sono ancora più cari di voi.” L’oste esitò, scarabocchiò il suo nome sull’originale e la copia e soffiò sui fogli. Dato che si trattava di una biro che asciugava velocemente, piegò subito la copia e la infilò nella busta. “È fatta, adesso vogliamo riavere Ilka. Charly, portaci un altro giro, brindiamo al contratto.”

Tese la busta a Baumann, questi la passò a Süden, davanti a Ring.

“Non capisco,” Viebel agitò la mano destra quasi stesse dirigendo un’orchestra invisibile. “Eri nella polizia, alla Criminalpol, guadagnavi benissimo e te ne vai? Ti hanno buttato fuori o cosa? Nessuno se ne va di sua sponte dalla Criminalpol, nessuno. Come se io fossi stato all’Agenzia delle entrate, come Johann, e un bel giorno avessi detto adesso butto tutto all’aria e faccio l’acrobata. Nessuno fa una cosa del genere.”

“Faccio il detective, non l’acrobata,” precisò.

“Ho capito, era una battuta. Perché te ne sei andato dalla polizia? Hai ammazzato qualcuno?”

“Ero all’Ufficio persone scomparse,” rispose. “Non ho mai sparato a nessuno.”

“Chi ti capisce è bravo, Süden.”

“Vale anche per te.”

“Io non sono bravo come te.” Viebel fece un sorriso tirato senza scoprire i denti che, pensò il detective, forse erano di vetro. Alzò il bicchiere di grappa. L’oste gli fece più volte cenni d’incoraggiamento col capo e vuotarono i bicchieri d’un fiato, perché in quel locale vigeva il divieto di sorseggiare.